domenica 22 aprile 2012

Il costo della conoscenza

E' apparso oggi un articolo sul Guardian che denuncia le problematiche che il mondo accademico deve affrontare in materia di pubblicazioni scientifiche. Traduco parte del testo qui sotto:

Come osserva uno dei personaggi del dramma di George Bernard Shaw Il dilemma del dottore: "Tutte le professioni sono cospirazioni contro i profani".  Per aggiornare questa osservazione per i lettori contemporanei, sostituite semplicemente il termine "professioni" con "editori di riviste accademiche" e il gioco è fatto. [...]
La cosa funziona così: se sei un ricercatore in qualunque disciplina accademica, la tua reputazione e prospettive di carriera sono ampiamente determinate dalle tue pubblicazioni in riviste di impressionante specializzazione - come ad esempio Tetrahedron, un periodico specializzato in chimica organica e pubblicato dalla compagnia danese Elsevier.
[...]
I vari periodici hanno diversi livelli di prestigio. Il loro status è misurato dal loro "fattore di impatto", ovvero un metodo basato sul numero di citazioni ricevute che lascia percepire l'importanza del periodico nel suo campo. [...] In ogni principale campo della scienza, il successo dipende dall'essere pubblicato in tali giornali di alto impatto. 
E non soltanto il successo personale: con le leggi attuali sul finanziamento accademico nel Regno Unito, la sopravvivenza di interi dipartimenti delle università dipende dalla quantità di pubblicazioni dei loro accademici di rilievo. Il mondo accademico è diventato un mondo dominato dalla legge del "pubblica o muori".
Questo dà enorme potere a compagnie come Elsevier che pubblicano periodici importanti. E indovinate un po'? Il loro potere lo esercitano eccome. L'abbonamento annuale a Tetrahedron, per esempio, costa alla biblioteca di una università 20.269 dollari. E se vuoi invece Biochimica et Biophysica Acta, dovrai spendere 18.710 euro all'anno. Non tutti i giornali sono così costosi, ma il costo medio di una sottoscrizione annuale a una rivista di chimica si aggira comunque intorno ai 3.792 dollari, e molti periodici costano anche parecchio di più. Il risultato è che una irragionevole quantità di fondi pubblici sono spesi dalle nostre sventurate università nella forma di ciò che si può definire a tutti gli effetti una tassa dovuta a un monopolio di pochi editori. La maggior parte delle università britanniche danno dai 4 ai 6 milioni di sterline l'anno a compagnie come Elsevier, e il conto diventa sempre più salato con l'aumento dell'inflazione negli anni.
Ma non è solo il prezzo esorbitante dell'abbonamento che ci puzza. E' l'intrinseca assurdità di ciò che è coinvolto nel racket delle pubblicazioni accademiche. Gran parte degli editori, dopotutto, deve quantomeno pagare per i contenuti che pubblica. Ma non è questo il caso di Elsevier, Spriger e altri. I loro contenuti sono offerti gratuitamente dai ricercatori, i cui stipendi sono pagati da te e da me. 
Anche le peer-review, il sistema di controllo e di recensioni da parte di altri ricercatori che garantisce il mantenimento di una qualità dei contenuti elevata, vengono effettuate a titolo gratuito, e quindi pagate da te e da me, perché i ricercatori che le fanno sono pagati coi soldi dello stato (nel Regno Unito si è stimato che il lavoro di peer review non pagato ammonta ad un valore di 165 milioni di sterline). E alla fine gli editori non solo rivendicano il copyright sui contenuti che hanno ricevuto gratuitamente, ma chiedono anche che le università pagate coi soldi pubblici paghino prezzi da monopolio per avere accesso a tali contenuti.
[...]
La fine dell'articolo si concentra soprattutto sull'iniziativa partita da Cambridge di boicottare questo genere di riviste e periodici, che ha portato anche all'apertura di un sito web "militante" chiamato appunto The Cost of Knowledge. Tutto questo fa abbastanza riflettere, anche sulla "matta e disperatissima" situazione italiana.

 Anzitutto le università italiane non sono esenti da queste "tasse da monopolio" da pagare per l'acquisto di tali pubblicazioni scientifiche di rilievo, come appunto la sopracitata Tetrahedron e non solo. E' un sistema in cui a papparsi la fetta dei profitti non sono mai i prolifici ricercatori, che si affannano a pubblicare continuamente per ingrandire la loro fama. Ma appunto, tutto si limita alla possibilità di ingrandire il proprio prestigio come ricercatore, senza alcun tipo di tornaconto economico. Non che io voglia inaugurare una classe di mercenari della cultura, ma sbattersi come dei matti per non avere nessun tipo di gratificazione e di garanzia economica (ricordiamo che un ricercatore italiano non guadagna più di un migliaio di euro al mese) è veramente una delle grandi contraddizioni del nostro paese, in cui se sei laureato e hai una cultura hai meno garanzie e sei più povero di un operaio non specializzato a tempo indeterminato nelle nostre aziende.
Seconda cosa, come l'articolo appunto mette in chiaro un ricercatore è valutato solo e soltanto dalla quantità di pubblicazioni che ha ricevuto. Ora, a parte queste pubblicazioni internazionali, l'editoria italiana è uno scatafascio totale. Ricordo ancora le parole di una mia docente all'università che, afflitta dal dover sempre e solo distribuirci fotocopie scritte da lei in classe ci confessava "mi piacerebbe tanto pubblicare un bel manuale su questo argomento, ma mi hanno chiesto 5000 euro per poterlo fare, e sinceramente ragazzi né io né l'università ce lo possiamo permettere"... una Università degli Studi di Bari "Aldo Moro" che, ricordiamolo, ha un buco finanziario di 52 milioni di euro. Non per essere pessimista, ma come si acquista prestigio se non ci si può permettere neanche il sapone dei bagni dell'Ateneo?
In un paese già dominato da un regime di enormi disuguaglianze, in primis la disuguaglianza tra università del Nord e università del Sud, non sono questi ulteriori problemi che alimentano quella meccanica tutta italiana che "chi ha soldi può diventare qualcuno o qualcosa, chi non li ha non può fare altro che stringersi in una soffocante morsa mortale"? In una Italia in cui neanche fare un prestigioso tirocinio nelle ambasciate italiane all'estero per ben 4 mesi ti dà nemmeno un minimo di rimborso spese, in cui quindi solo chi ha già del denaro può investire nel proprio futuro e nell'arricchimento del proprio curriculum, in un paese in cui per accedere a un dottorato di ricerca la maggior parte del punteggio per le graduatorie viene dato alle pubblicazioni che si fanno, come si fa a diventare qualcuno se non si hanno dei fondi disponibili? Mi piacerebbe fare un dottorato, ma come ottengo una pubblicazione se l'università non mi aiuta, i professori non mi aiutano, lo Stato non mi aiuta?
E se davvero dovesse passare la brillante idea del nostro governo di considerare l'università di provenienza come criterio di selezione più importante dei meriti personali e del voto di uscita, come si risolvono queste disuguaglianze? Quale futuro c'è per le università più disastrate del paese? Si tenta di esportare un modello americano senza avere il benché minimo sistema per sostenerlo, ovvero grande valorizzazione degli studenti meritevoli con borse di studio che permettono loro di permettersi università che con i soli fondi familiari non riuscirebbero mai a sostenere, un sistema veramente basato su meritocrazia e distribuzione delle risorse in base a principi meritocratici. Finchè non si avrà questo in Italia l'importazione di sistemi statunitensi "impropri" al nostro sistema sarà solo un agente che strozzerà completamente il progresso del paese e porterà alla radicalizzazione dello status quo.
In un paese in cui l'editoria non fa pagare un libro, anche quelli non più coperti da copyright, meno di 10 euro (a differenza, per esempio, dei grandi classici Penguin nel Regno Unito, che non costano mai più di 3 euro), e dove anche i libri per Kindle e altri dispositivi, quindi opere prodotte a costo di produzione vicino allo zero, non costano meno di 6-7 euro, il problema del "Prezzo della conoscenza" è serio. In questo paese ancora di più che altrove la cultura è un lusso, i libri sono considerati beni di lusso e non pane quotidiano della mente umana, bene di primissima necessità. Fin quando ai nostri tecnocrati e burocrati non entrerà in mente questo, non entrerà in mente una idea di conoscenza libera e demonopolizzata, e che chi possiede conoscenza deve essere valorizzato, incentivato, PAGATO, invece di considerare la preparazione universitaria come un limite del giovane lavoratore, come un mezzo per poter sfruttare giovani con poca esperienza concreta con la scusa della "formazione" sottopagata, in questo paese non ci sarà mai e poi mai crescita. E se l'ho capito io, che ho 25 anni e di economia non ne capisco nulla, non riesco a capire perché non lo capiscono ai piani alti.
Pronto, ci siete?

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