martedì 24 aprile 2012

Welcome to the World of Tomorrow



Le mie parole oggi saranno ben poche. Mi limiterò a dire che riporto qui sotto integralmente la traduzione che ho fatto dell'articolo che Frank Rieger ha inserito nel suo sito poco prima di Pasqua, per permetterne la diffusione anche per i non anglofoni. Lascio al lettore i commenti, e ricordo che questo articolo è apparso su di Die Datenschleuder #89 ed è stato pubblicato da Frank Rieger su licenza Creative Commons Attribution-NoDerivs 2.5 License. Buona lettura.



Benvenuti nel mondo di domani

ABBIAMO PERSO LA GUERRA. BENVENUTI NEL MONDO DI DOMANI


Perdere una guerra non è mai una bella situazione. Non ci stupisce quindi che gran parte delle persone non vogliono accettare che abbiamo perso. Avevamo una buona opportunità di domare la bestia feroce della tecnologia di sorveglianza globale approssimativamente fino al 10 settembre 2001. Un giorno più tardi avevamo perso. Tutte le speranze che avevamo per tenere a bada le grandi imprese e le "forze di sicurezza" e sviluppare interessanti concetti alternativi nel mondo virtuale sono evaporati insieme al fumo delle Twin Towers.


Appena prima di allora, tutto sembrava andare non troppo male. Eravamo sopravvissuti al cambio di millennio con poco più che qualche graffio. Le prospettive del mondo intero erano moderatamente ottimistiche, dopo tutto. La bolla della “Nuova Economia” aveva dato a molti di noi cose divertenti da fare e la fugace speranza di un mucchio di quattrini appena dietro l’angolo. Le tendenze dello sviluppo tecnologico sembravano andare gran parte delle volte nella direzione della libertà. Il futuro appariva come una sentiero in mattoni gialli verso il nirvana dell’eterna banda larga, verso il dominio delle idee sui fatti e la dissoluzione degli stati nazionali. Le grandi corporazioni erano alla nostra mercé perché noi eravamo quelli che sapevano come sarebbe stato il futuro e che avevano le tecnologie per crearlo. Questi erano i bei tempi. Teneteli in serbo come favola della buonanotte da raccontare ai vostri nipotini, perché questi tempi non torneranno mai più.


Siamo ormai addentro ad un altro tipo di futuro, quello che fantasticavamo potesse essere lo scenario più pessimistico. Questo è la versione “brutta”, il futuro che non avremmo mai voluto, quello che lottavamo per prevenire. Abbiamo fallito. Probabilmente non è stata neanche colpa nostra. Ma ora siamo obbligati a viverci.


La democrazia è già finita


Per la loro stessa natura le democrazie occidentali sono diventate un terreno fertile per lobbisti, interessi industriali e cospirazioni che non hanno alcun interesse a mantenere una vera democrazia. Tuttavia, “the show must go on”, la finzione della democrazia va portata avanti. E’ una finzione conveniente, che tiene occupati quei soggetti che potrebbero altrimenti diventare pericolosi per lo status quo. Lo show della democrazia fornisce responsabili da additare quando le cose vanno male e tiene viva l’illusione della partecipazione. Il sistema produce anche conflitti regolamentati e strutturati per deliberare quali gruppi di interesse e cospirazioni devono avere la meglio sugli altri per un po’. Nella maggior parte dei casi questo sistema previene l’insorgere di lotte di potere manifeste e violente che potrebbero destabilizzare tutto. Dunque è nell’interesse di gran parte degli attori mantenere in vita almeno alcuni elementi dell’attuale “show della democrazia”. Il sistema così come è ora torna utile anche alla più malvagia delle cospirazioni. Di sicuro quelle caratteristiche della democrazia che potrebbero riservare spiacevoli sorprese, come le elezioni dirette su problematiche chiave, sono quelle che meno probabilmente sopravvivranno ragionando lungo termine.


Ovviamente, coloro che sono al potere desiderano ardentemente minimizzare al massimo il potere d’influsso della caotica e imprevedibile volontà popolare. Le vere decisioni governative non vengono prese dai ministri o dal parlamento. Il vero potere risiede nelle mani dei sottosegretari, o altri inservienti civili di alto grado e non eletti, cioè coloro che restano sulle loro sedie mentre i politici vanno e vengono. Specialmente nell’apparato burocratico delle agenzie di intelligence, del ministero degli interni, delle forze armate e in altri punti di accentramento del potere, i piani a lungo termine e il potere decisionale non sono nelle mani degli incompetenti e mediocri attori politici, che vengono eletti più o meno a casaccio dal popolo. La stabilità a lungo termine è cosa di enorme valore all’interno dei rapporti di potere. Così succede che anche quando i politici degli stati iniziano all’improvviso a farsi la guerra, le loro agenzie di intelligence continuano invece a cooperare tra loro e a mercanteggiare risultati di intercettazioni come se nulla fosse accaduto.


Cerchiamo per un attimo di guardare il mondo dalla prospettiva di un qualunque burocrate sessantenne che ha accesso a dati preziosi, il privilegio di essere pagato per guardare al futuro e il compito di preparare le politiche per i prossimi decenni. Quello che vedremmo sarebbe più o meno questo:



Primo,
il lavoro manuale pagato sarà spazzato via dalla tecnologia, ancora più rapidamente di oggi. La robotica si evolverà abbastanza da sostituire una fetta consistente dei restanti lavori di fascia bassa svolti dagli umani. Certo, ci saranno nuovi lavori, come assistere i robot, lavorare nel campo della biotecnologia, progettare roba, creare nanotecnologie e così via. Ma saranno pochi rispetto a oggi, e richiederanno un alto livello di istruzione. La globalizzazione continuerà il suo corso senza pietà e causerà anche l’esportazione di molti lavori di tipo intellettuale in India e Cina, non appena i livelli di istruzione lo permetteranno.

Così va a finire che una grossa percentuale di popolazione delle società occidentali, almeno un terzo, ma potrebbe addirittura essere la metà di coloro che sono in età da lavoro, si ritroverà senza una vera occupazione retribuita. Da un lato ci sono coloro i cui talenti e capacità possono essere trovati altrove a minor prezzo, dall’altro quelli più inclini al lavoro manuale: non solo i meno istruiti, ma semplicemente tutti quelli che non riescono più a trovare lavoro decente. Questa fetta di popolazione necessita d’essere placata in qualche modo, con Disney o con la Dittatura, molto probabilmente con entrambe. Il problema della disoccupazione affligge pesantemente la capacità dello stato di pagare per ottenere benefici sociali. Perché si arriva ad un punto in cui diventa più economico investire nelle forze armate di repressione e istituire un governo del terrore, piuttosto che pagare i sussidi ai disoccupati per acquistare la pace sociale. Le attività criminali appaiono improvvisamente più interessanti quando non si può avere un lavoro decente. La violenza è una conseguenza inevitabile del degrado degli standard sociali. La sorveglianza universale potrebbe addolcirne le conseguenze a vantaggio di coloro che rimangono in possesso di qualche ricchezza da difendere.


Secondo,
i cambiamenti climatici aumentano la frequenza e il grado di pericolosità delle calamità naturali, creando una condizione di emergenza su scala globale. A seconda delle caratteristiche geografiche, ampie zone della terra potrebbero diventare inabitabili per siccità, inondazioni, incendi o altri disastri. Questo genera una moltitudine di effetti indesiderati: un gran numero di persone ha bisogno di spostarsi, la produzione agricola crolla, i centri industriali e le citta potrebbero essere danneggiate al punto che l'evacuazione rimane l’unica scelta sensata da compiere. La perdita in termini di immobili non utilizzabili o non assicurabili sarà sconvolgente. La conseguente ondata migratoria interna verso le "aree sicure" diventerà un problema significativo. Per rispondere alle emergenze naturali è necessario avere perennemente a disposizione risorse, personale qualificato e equipaggiamenti specifici che prosciugherebbero i fondi già scarseggianti del governo. Le parti coscritte delle forze armate nazionali potrebbero essere trasformate in unità di salvataggio anticalamità, visto che dopotutto passano il tempo a bighellonare senza alcun vero lavoro da fare eccetto assicurarsi risorse di energia fossile all’estero e aiutare la polizia di frontiera.


Terzo,
la pressione migratoria dalle aree confinanti aumenterà in tutti i paesi occidentali. Pare che i disastri climatici si abbatteranno più ferocemente, almeno all'inizio, sulle regioni dell'Africa e dell'America Latina, ed è alquanto improbabile che le economie locali reagiscano meglio di quelle dei paesi occidentali, con la globalizzazione e gli altri problemi che si prospettano. Così il numero di persone che vorrà a tutti i costi migrare verso un altrove altrettanto inabitabile aumenterà consistentemente. I paesi occidentali hanno di sicuro bisogno di una certa quantità di immigrazione per riempire i loro vuoti demografici, ma il numero di persone che vorrà entrare sarà molto più alto del desiderato. Gestire un processo di immigrazione calibrato in base alle esigenze demografiche è un lavoro ingrato col quale le cose possono solo peggiorare. La quasi inevitabile reazione sarà una vera e propria Fortress Europe: severi controlli alla frontiera e fortificazioni, frequenti e onnipresenti controlli di identità, deportazioni veloci e spietate dei clandestini, controlli biometrici ad ogni angolo. L'utilizzo delle tecnologie per il controllo delle frontiere può diventare piuttosto efficace una volta caduti gli ultimi baluardi dell’etica.


Quarto,
ci sarà un punto nei prossimi decenni in cui la crisi energetica assesterà il colpo più forte. Il petrolio costerà una fortuna, dal momento che la capacità produttiva non potrà più soddisfare la domanda crescente. Il gas naturale e il carbone dureranno poco più a lungo. Un Rinascimento Nucleare potrebbe alleviare la peggiore delle sofferenze. Ma la questione chiave è che sarà indispensabile una rivoluzione totale delle infrastrutture energetiche . Se il passaggio sarà violento, doloroso e distruttivo per la società, o solo fastidioso e costoso, dipenderà soprattutto da quanto tempo prima del picco massimo del petrolio si deciderà di investire in nuovi sistemi energetici su scala globale. La procrastinazione è la ricetta più sicura per il disastro. La corsa militare e geostrategica per le grosse riserve di petrolio rimanenti è già iniziata e costerà molto in termini di risorse.


Quinto,
siamo sull’orlo di una fase dello sviluppo tecnologico che potrebbe richiedere delle restrizioni draconiche e controlli per prevenire il disordine sociale. L’ingegneria genetica e altre biotecnologie come la nanotecnologia (e potenzialmente tecnologie energetiche gratuite se esistono) metteranno immenso potere nelle mani di persone capaci e ben informate. Dato l’aumento di fenomeni di isteria collettiva, gran parte delle persone (e di sicuro quelli che sono al potere) non continueranno certo a credere che il buonsenso potrà evitare il peggio. Ci sarà una tendenza a controllare, con lo scopo di mantenere questo tipo di tecnologie nelle mani di corporazioni o enti "fidati". Tali controlli, ovviamente, necessiteranno d’essere rinforzati; la sorveglianza di soggetti sospetti deve essere messa in atto per ottenere una conoscenza approfondita dei potenziali pericoli. La scienza potrebbe non essere più “innocua” e autoregolamentata, ma qualcosa che necessita d'essere controllata attentamente e regolata, quantomeno nelle zone critiche. Le misure che occorrono per contenere una potenziale pandemia globale dello Strano Virus dell’Anno sono di fatto solo un sottoinsieme di quelle che occorrono per contenere un disastro bio- o nanotecnologico.

Ora, cosa ne viene da questa visione del mondo? Quali cambiamenti sociali sono necessari per far fronte a queste tendenze dal punto di vista di un power broker sessantenne?


La strategia è di puntare tutto su un ingente investimento nella sicurezza interna.
Presentare il problema alla popolazione come l'unica alternativa ragionevole per entrambi nella scelta tra una libertà incerta e pericolosa e una sopravvivenza assicurata sotto l’ombrello protettivo del fidato Stato diventa sempre più facile man mano che la crisi si sviluppa. Le fasce più abbienti della popolazione avranno sicuramente bisogno di essere protette dagli immigrati clandestini, dai criminali, dai terroristi, e implicitamente anche dalla rabbia dei cittadini meno benestanti. E dal momento che il nostro sistema attuale dà più valore ai ricchi che ai poveri, è sicuro che i ricchi avranno la protezione che vogliono. Il settore della sorveglianza sarà certamente felice di dare una mano, specialmente laddove lo Stato non sarà più in grado di fornire una protezione che si addica al palato di questi fortunati.

I valori democratici tradizionali sono stati erosi al punto che la maggior parte della gente non ci bada neanche più. Così la perdita dei diritti per cui i nostri predecessori hanno lottato fino a non troppo tempo fa’ è d’un tratto accettata con piacere da quella maggioranza che può essere facilmente sottomessa con l’intimidazione. Il “terrorismo” è il tema del presente, ma ne seguiranno altri. Tutti questi "temi” possono essere e saranno usati per trasformare le società europee in qualcosa che non è mai stato visto prima: uno stato di polizia legittimato democraticamente, governato da una inaccusabile élite con i mezzi della sorveglianza totale, resi efficienti dalla incredibile discrezione della tecnologia moderna . Con il nemico (immigrati, terroristi, sfollati delle catastrofi climatiche, criminali, poveri, scienziati pazzi, malattie strane) alle porte, il prezzo da pagare per avere "protezione" ci sembrerà accettabile.

Inventare "minacce terroristiche" di sana pianta attraverso stupide politiche estere e operazioni di intelligence prive di senso è un metodo conveniente per giungere all’istituzione di uno stato di polizia legittimato democraticamente. A nessuno importa che i soli incidenti stradali causano molte più morti dei terroristi. La paura del terrorismo accelera i cambiamenti sociali e fornisce la scusa per rendere necessari gli strumenti di soppressione contro i futuri pericoli.

Ciò che oggi chiamiamo “misure anti-terrorismo” per chi è al potere non sono che una preparazione conscia e a lungo termine al mondo del futuro descritto sopra.



Le Tecnologie dell’Oppressione



Possiamo immaginare gran parte delle tecnologie di sorveglianza e di oppressione piuttosto facilmente. La copertura CCTV è già realtà in alcune città. Gli analizzatori del traffico di comunicazioni (chi parla a chi in quale momento) sono spaventosamente efficaci. La prossima ondata in arrivo riguarda i registratori di spostamento tramite cellulari, sistemi di monitoraggio del traffico e rilevamento tramite GPS. Le registrazioni degli acquisti effettuati (online, con carte di credito o di debito) sono una ulteriore fonte di dati succulenti. L’integrazione di tutti questi dati in un sistema di analisi computerizzata del comportamento fa parte al momento solo del “lato oscuro della forza”.

Il problema fondamentale per istituire un efficace stato di polizia basato sul sistema di sorveglianza è di mantenere il profilo moderatamente basso per fare in modo che il “cittadino qualunque” si senta solo protetto e non minacciato, almeno fin quando tutti i tasselli non saranno al posto giusto per renderlo permanente. Il principio primo dello stato di polizia del ventunesimo secolo è che tutti coloro che “non hanno niente da nascondere” non devono essere importunati oltre il necessario. Ma questo obiettivo diventa più complicato, visto che l'aumento della disponibilità di informazioni anche sulle più piccole contravvenzioni quotidiane incrementerà la pressione "morale" a perseguire. Le agenzie di intelligence sanno da sempre che un lavoro efficace sui risultati delle intercettazioni è possibile solo se si effettua una selezione accurata tra i casi in cui è necessario intervenire e quelli (la maggior parte) in cui è meglio stare zitti e godersi lo spettacolo.

D’altro canto però le forze di polizia in genere (fatte poche eccezioni) hanno il dovere di intervenire in qualsiasi caso di crimine o contravvenzione minore di cui vengono a conoscenza. Certo, hanno già un buon margine di discrezionalità. Con la possibilità di accedere a tutte le informazioni di cui sopra, finiremo in un sistema di applicazione selettiva della legge. E’ impossibile vivere in una società complessa senza violare una regola qui e lì di tanto in tanto, spesso senza neanche accorgersene. Se tutte queste violazioni fossero documentate e disponibili per il perseguimento legale, l’intero tessuto della società muterebbe drammaticamente. Il vecchio sintomo delle società totalitarie, ovvero la persecuzione arbitraria degli oppositori politici, diventerebbe realtà all’interno della cornice dello stato di diritto democratico. Fin quando le persone coinvolte potranno essere presentate come il nemico del giorno, il sistema può essere sfruttato efficacemente per mettere a tacere l'opposizione. E ad un certo punto l’interruttore per azionare la persecuzione e il controllo automatizzati può essere premuto, dato che ogni resistenza al sistema verrà tacciato per definizione di "terrorismo". Lo sviluppo della società arriverà a un punto morto, le regole della legge e il paradiso dell’ordine non potranno più essere violati.

Ora, discostandoci dalla realtà di questo suddetto burocrate sessantenne, dove sono le speranze di libertà, creatività e divertimento in tutto ciò? A essere sinceri, bisogna partire dal presupposto che ci vorranno un paio di decenni prima che la bilancia penderà a favore della privazione della libertà, sancendo il collasso della società come noi la conosciamo. Solo se l’oppressione diventerà troppo pesante e aperta allora ci potranno essere delle speranze di ripristinare presto uno stato di generale progresso dell'umanità. Se le potenze di domani saranno invece abbastanza astute da mantenere il sistema in modo discreto, non possiamo fare alcuna previsione su quando questo nuovo medioevo potrà finire.



E adesso che si fa?


Forse trasferirsi in montagna, diventare giardinieri o carpentieri, cercare la felicità in comunità di persone affini a voi, in isolamento dall’intero mondo può essere la soluzione? L’idea tende di solito a perdere gran parte del suo fascino agli occhi di coloro che ci hanno provato davvero. Può funzionare se siete i tipi che riescono a trovare la felicità eterna mungendo mucche alle cinque del mattino. Ma per il resto di noi, l’unica opzione realistica è di vivere nel e con il mondo, per quanto brutto possa diventare. Ciononostante, abbiamo bisogno di costruire le nostre comunità, vere o virtuali.


Il gioco della politica e delle lobby
In cosa investire le proprie energie allora? Cercare di giocare al gioco della politica, combattere contro i brevetti software, le leggi di sorveglianza e le violazioni della privacy in parlamento e nei tribunali può essere il lavoro di una vita, e ha il vantaggio che ogni tanto si vince qualche battaglia che può rallentare le cose. Potreste addirittura essere capaci di evitare assurde atrocità qua e là, ma alla fine lo sviluppo della tecnologia e il livello di panico della popolazione si papperanno a colazione gran parte delle vostre conquiste.

Non è per sminuire il lavoro e la dedizione di quelli che combattono su questo fronte, ma bisogna avere una forma mentis da avvocato e un alto livello di sopportazione delle frustrazioni per trarne gratificazione, e questo non è da tutti. Ciononostante, gli avvocati ci servono.



Talento ed Etica
Alcuni di noi hanno venduto la loro anima, forse per pagare l’affitto quando è scoppiata la bolla e i lavori belli e moralmente semplici scarseggiavano. Hanno venduto il cervello alle grandi imprese o al governo per costruire il tipo di cose che sapevamo perfettamente come costruire, quelle su cui fantasticavamo in una sorta di gioco intellettuale fra di noi, senza veramente pensare di metterle in pratica: come ad esempio le infrastrutture di sorveglianza , i software per analizzare le immagini video in realtime, per l’osservazione degli spostamenti, dei volti, delle targhe automobilistiche; come il data mining per rappresentare grosse quantità di informazioni in grafi di relazioni e comportamentali; come sistemi di intercettazione per registrare e analizzare ogni singola telefonata, email, click sul web. Strumenti per tracciare ogni singolo movimento di persone e cose.

Pensare a cosa può essere fatto con il risultato del lavoro di qualcuno è una cosa, rifiutarsi di farlo “solo” perché potrebbe essere il peggiore mai concepito al mondo è qualcosa di completamente differente, specialmente quando non c’è nessuna altra valida opzione per guadagnarsi da vivere in modo intellettualmente stimolante in giro. Molti dei progetti su cui fantasticavamo erano anche giustificabili, infondo non erano poi “così male” oppure non costituivano alcun “reale pericolo”. Spesso la scusa rimaneva quella che comunque non sarebbe stato tecnicamente fattibile a quei tempi, c’erano troppi dati in ballo per cavarci un ragno dal buco. Dieci anni dopo di colpo è fattibile. Eccome se lo è.

Nonostante sarebbe di certo meglio se il settore della sorveglianza sparisse a causa di mancanza di talento, l’ipotesi più realistica per risolvere il problema è che dobbiamo continuare a tenerci in contatto con quelli che hanno venduto l’anima al diavolo. Abbiamo bisogno di dare vita a una cultura che possa essere paragonata alla vendita delle indulgenze nel precedente medio evo: puoi anche star lavorando per il “cattivi”, ma noi siamo ben disposti a venderti l'assoluzione morale in cambio di un po' di conoscenza. Dicci cosa sta succedendo lì, quali sono le capacità, i piani, quali scandali terribili sono stati nascosti. Sinceramente, sappiamo davvero poco delle capacità dei sistemi di intercettazione moderni usati "dall'altro lato della forza" dopo che Echelon, diventato nel frattempo un po' obsoleto, è stato scoperto. Tutte le nuove strumentazioni che monitorano internet, l'uso attuale e futuro del database profiling, dei sistemi di videosorveglianza assistita, degli analizzatori del comportamento eccetera ci sono pressoché sconosciuti o molto raramente conosciuti solo per sommi capi.

Ci serve sapere come lavorano le agenzie di intelligence. E’ di importanza assoluta scoprire come lavorano in pratica i metodi che si servono di backdoor invece di crackare i codici su larga scala, e quali backdoor vengono costruite o inserite nei nostri sistemi con questo preciso scopo. Costruire sistemi “puliti” sarà piuttosto difficile, data la moltitudine di opzioni per produrre backdoor, dal sistema operativo e application software fino ad hardware e CPU che sono troppo complessi da verificare. L’Open Source aiuta solo in teoria, perché chi ha davvero il tempo per controllare tutti i sorgenti…

Certo, il rischio che si corre a rendere pubblico questo tipo di conoscenza è alto, specie per quelli che lavorano per il “lato oscuro”. Per questo abbiamo bisogno di costruire strutture che possano ridurre il rischio. Ci servono sistemi per sottomettere documenti in forma anonima, metodi per ripulire sia i documenti cartacei che quelli elettronici delle “impronte digitali”. E di certo dobbiamo sviluppare mezzi per identificare gli inevitabili casi di disinformazione che saranno sicuramente diffusi nei canali di comunicazione per confonderci.


Costruire una tecnologia per preservare l’opzione del cambiamento
Siamo di fronte a una fase di assalto furibondo e senza precedenti nella storia da parte delle tecnologie di sorveglianza. Il dibattito sulla possibilità di ridurre il crimine o il terrorismo non è più rilevante. L’impatto effettivo sulla società può già essere sentito, ad esempio quando la mafia richiede l'accesso a tutti i dati per preservare il suo modello di affari. Avremo bisogno di costruire tecnologie che preservino la libertà di parola, di pensiero e di comunicazione. Al momento non c'è nessuna altra soluzione a lungo termine. Le barriere politiche contro sorveglianza totale vivranno un periodo di transizione molto breve prima del loro abbattimento completo.

L’accettazione universale dei sistemi di comunicazione elettronica è stata di enorme aiuto ai movimenti politici. E’ vero che per quelli al potere mantenere nascosti i loro segreti è diventato più difficile e più costoso. Sfortunatamente però, anche tutti gli altri stanno vivendo lo stesso problema. Quindi una cosa che possiamo fare per aiutare il progresso della società è di mettere a disposizione strumenti, conoscenza e esperienza per garantire comunicazioni sicure a qualsiasi organizzazione politica e sociale che condivide i nostri ideali. Non dobbiamo essere eccessivamente parsimoniosi nella scelta dei nostri amici, chiunque si opponga alla struttura centralizzata del potere ed è contro i totalitarismi in generale dovrà essere il benvenuto. Avere un po' di aria da respirare diventa più importante del voler sapere perché essa venga usata.


L’anonimità diventerà una cosa preziosissima. Criptare le comunicazioni è necessario e desiderabile ma aiuta poco fin quando i destinatari dei messaggi sono noti. L’analisi del traffico è uno degli sistemi di intelligence più efficienti in circolazione. Anche solo osservando con procedure computerizzate i movimenti e le comunicazioni si possono scovare individui "interessanti", individui per cui valga la pena investire qualche somma in forme di sorveglianza più dettagliata. L’ implementazione di tecnologie per l’anonimato è urgentissima, visto che in Europa sono passate leggi sulla conservazione dei dati personali. Ci serve un anonimato opportunistico così come ci serve un sistema di crittazione opportunistico. Al momento, tutte le tecnologie per l'anonimato che sono state dispiegate sono state invase all'istante da contenuti di file-sharing. Abbiamo bisogno di soluzioni a questa cosa, preferibilmente sistemi che possono reggere il carico, dal momento che l'anonimato ama la compagnia e più traffico vuol dire meno probabilità di essere identificati da qualsiasi tipo di attacco.


Gruppi chiusi di utenti hanno già preso piede in quelle comunità che hanno uno spiccato senso ed una forte esigenza di privacy. Le frange più oscure delle comunità di hacker e un sacco di circoli di warez si sono già “oscurati”. Ne seguiranno altri. La tecnologia per costruire un gruppo chiuso di utenti che operi nel mondo reale non è ancora arrivata. Abbiamo solo improvvisato delle opzioni che funzionano in casi molto specifici. In generale, serve disperatamente la tecnologia per creare gruppi chiusi di utenti completamente criptati per trasmettere qualunque tipo di contenuto con un discreto grado di anonimità.


Infrastrutture decentralizzate sono ciò che ci serve. I network di peer-to-peer sono un buon esempio di cosa funziona e cosa no. Fin quando ci saranno elementi centralizzati possono essere presi e chiusi con ogni pretesto. Solo sistemi di peer-to-peer che necessitano elementi centralizzati il meno possibile sono in grado di sopravvivere. E’ interessante notare che i network militari hanno le stesse esigenze. Dobbiamo prendere in prestito da loro, nello stesso modo in cui loro prendono in prestito dalle tecnologie commerciali e open source.


Progettare con in mente l’abuso che si fa delle tecnologie di sorveglianza è il prossimo passo logico. Molti di noi infatti sono coinvolti nella progettazione e implementazione di sistemi che possono essere facilmente vittime di abusi da parte della sorveglianza. Che siano negozi online, database, sistemi di RFID, sistemi di comunicazione, o comuni server per Blog, abbiamo bisogno di progettare cose in modo sicuro per proteggere da un possibile abuso futuro di conservazione di dati o intercettazioni. Spesso c’è una libertà considerevole nella progettazione. Dobbiamo sfruttare questa libertà per costruire sistemi che conservino meno dati possibile, che usino la crittazione e che preservino l’anonimità il più possibile. Abbiamo bisogno che si crei una cultura intorno a questa idea. Un sistema sarà revisionato da nostri "peer-reviewer" come "buono" solo se aderirà a questi criteri. Certo, potrebbe essere dura sacrificare il potere personale che deriva dall’accesso a dati vantaggiosi. Ma tenete a mente che non avrete questo lavoro per sempre e chiunque dovesse venire dopo di voi potrebbe con tutta probabilità non essere così interessato alla privacy come voi. Limitare la quantità di dati collezionati sulle persone nelle transazioni e comunicazioni quotidiane è un dovere assoluto se siete hacker seri. Ci sono molte cose buone che possono essere fatte con la tecnologia RFID: per esempio facilitare il riciclo dei beni e renderlo più efficace conservando informazioni sulla composizione dei materiali e indizi sul processo di lavorazione in tag affibiate ai gadget elettronici. Ma per essere capaci di sfruttare il potenziale positivo di tecnologie come questa, il sistema ha bisogno di limitare o prevenire il più possibile gli “effetti collaterali” già nella progettazione, non successivamente come ripensamento.


Non mettere nei guai i propri amici per stupidità o ignoranza sarà anche essenziale. Siamo tutti abituati alla stronzata di inoltrare decrittate email originariamente crittate, con assoluta noncuranza verso i dati degli altri o giocando con le informazioni ricevute in confidenza. Questo non è più possibile. Stiamo lottando contro un nemico chiamato eufemisticamente “Osservatore Globale” negli articoli scientifici, con il suo significato letterale. Non puoi più contare sull’idea che si sorvoli sulle informazioni scambiate o che esse si perdano nel caos. Tutto è su file. Per sempre. E potrà, e verrà, usato contro di te. E il tuo innocente “scivolone” di cinque anni prima potrebbe mettere nei guai qualcuno a cui tieni.


“Fai silenzio e goditi lo spettacolo oppure rendi immediatamente pubblico” potrebbe diventare il nuovo motto dei ricercatori nel settore della sicurezza. Porre il problema della sicurezza ai produttori garantisce ai sistemi di intelligence un lungo periodo in cui possono usare e useranno tale "problema della sicurezza” come strategia per attaccare il sistema e impiantare backdoor. Si sa bene che le backdoor sono il mezzo per aggirare l'ostacolo della crittazione, e che i grandi produttori giungeranno a un accordo con le agenzie di intelligence dei rispettivi paesi per trasmettere preziosi dati ottenuti con 0-day exploit da sfruttare sin da subito. Durante i mesi o addirittura gli anni che ci vorranno per rilasciare una patch, le agenzie possono sfruttare gli 0-day e non rischiare di esporsi in prima persona. Così se per caso dovesse venire riscontrata una intrusione, nessuno sospetterà che il produttore abbia giocato sporco, perché sarà il produttore stesso a risolvere il problema. Quindi, se scoprite un problema pubblicate almeno abbastanza informazioni da permettere agli altri di individuare l'intrusione prima di rivolgersi al produttore.


Ancora più importante: divertitevi! Gli spioni sono persone da deridere, perché il loro lavoro è stupido, noioso e eticamente parlando il peggiore della terra per guadagnarci dei soldi, un po' come minacciare e scippare le nonnine per strada. Dobbiamo sviluppare una cultura del "divertiamoci a confonderli", che gioca con le imperfezioni, le falle, i problemi e gli errori di interpretazione intrinsechi al sistema e pressoché inevitabili quando si effettua una sorveglianza su vasta scala. Gli artisti sono la compagnia ideale per questo tipo di approccio. Abbiamo bisogno di una cultura generale all'insegna del motto "alla faccia tua, guardone!". Mettere in ridicolo, umiliare e degradare il sistema di sorveglianza, dando alle persone qualcosa su cui ridere, deve essere l'obiettivo. E questo ci evita anche di diventare stanchi e frustrati. Se non c’è alcun divertimento a sconfiggere il sistema, ci stancheremo subito e l'avrà vinta lui. Allora dobbiamo essere flessibili, creativi e divertenti, non arrabbiati, idealisti e testardi.




domenica 22 aprile 2012

Il costo della conoscenza

E' apparso oggi un articolo sul Guardian che denuncia le problematiche che il mondo accademico deve affrontare in materia di pubblicazioni scientifiche. Traduco parte del testo qui sotto:

Come osserva uno dei personaggi del dramma di George Bernard Shaw Il dilemma del dottore: "Tutte le professioni sono cospirazioni contro i profani".  Per aggiornare questa osservazione per i lettori contemporanei, sostituite semplicemente il termine "professioni" con "editori di riviste accademiche" e il gioco è fatto. [...]
La cosa funziona così: se sei un ricercatore in qualunque disciplina accademica, la tua reputazione e prospettive di carriera sono ampiamente determinate dalle tue pubblicazioni in riviste di impressionante specializzazione - come ad esempio Tetrahedron, un periodico specializzato in chimica organica e pubblicato dalla compagnia danese Elsevier.
[...]
I vari periodici hanno diversi livelli di prestigio. Il loro status è misurato dal loro "fattore di impatto", ovvero un metodo basato sul numero di citazioni ricevute che lascia percepire l'importanza del periodico nel suo campo. [...] In ogni principale campo della scienza, il successo dipende dall'essere pubblicato in tali giornali di alto impatto. 
E non soltanto il successo personale: con le leggi attuali sul finanziamento accademico nel Regno Unito, la sopravvivenza di interi dipartimenti delle università dipende dalla quantità di pubblicazioni dei loro accademici di rilievo. Il mondo accademico è diventato un mondo dominato dalla legge del "pubblica o muori".
Questo dà enorme potere a compagnie come Elsevier che pubblicano periodici importanti. E indovinate un po'? Il loro potere lo esercitano eccome. L'abbonamento annuale a Tetrahedron, per esempio, costa alla biblioteca di una università 20.269 dollari. E se vuoi invece Biochimica et Biophysica Acta, dovrai spendere 18.710 euro all'anno. Non tutti i giornali sono così costosi, ma il costo medio di una sottoscrizione annuale a una rivista di chimica si aggira comunque intorno ai 3.792 dollari, e molti periodici costano anche parecchio di più. Il risultato è che una irragionevole quantità di fondi pubblici sono spesi dalle nostre sventurate università nella forma di ciò che si può definire a tutti gli effetti una tassa dovuta a un monopolio di pochi editori. La maggior parte delle università britanniche danno dai 4 ai 6 milioni di sterline l'anno a compagnie come Elsevier, e il conto diventa sempre più salato con l'aumento dell'inflazione negli anni.
Ma non è solo il prezzo esorbitante dell'abbonamento che ci puzza. E' l'intrinseca assurdità di ciò che è coinvolto nel racket delle pubblicazioni accademiche. Gran parte degli editori, dopotutto, deve quantomeno pagare per i contenuti che pubblica. Ma non è questo il caso di Elsevier, Spriger e altri. I loro contenuti sono offerti gratuitamente dai ricercatori, i cui stipendi sono pagati da te e da me. 
Anche le peer-review, il sistema di controllo e di recensioni da parte di altri ricercatori che garantisce il mantenimento di una qualità dei contenuti elevata, vengono effettuate a titolo gratuito, e quindi pagate da te e da me, perché i ricercatori che le fanno sono pagati coi soldi dello stato (nel Regno Unito si è stimato che il lavoro di peer review non pagato ammonta ad un valore di 165 milioni di sterline). E alla fine gli editori non solo rivendicano il copyright sui contenuti che hanno ricevuto gratuitamente, ma chiedono anche che le università pagate coi soldi pubblici paghino prezzi da monopolio per avere accesso a tali contenuti.
[...]
La fine dell'articolo si concentra soprattutto sull'iniziativa partita da Cambridge di boicottare questo genere di riviste e periodici, che ha portato anche all'apertura di un sito web "militante" chiamato appunto The Cost of Knowledge. Tutto questo fa abbastanza riflettere, anche sulla "matta e disperatissima" situazione italiana.

 Anzitutto le università italiane non sono esenti da queste "tasse da monopolio" da pagare per l'acquisto di tali pubblicazioni scientifiche di rilievo, come appunto la sopracitata Tetrahedron e non solo. E' un sistema in cui a papparsi la fetta dei profitti non sono mai i prolifici ricercatori, che si affannano a pubblicare continuamente per ingrandire la loro fama. Ma appunto, tutto si limita alla possibilità di ingrandire il proprio prestigio come ricercatore, senza alcun tipo di tornaconto economico. Non che io voglia inaugurare una classe di mercenari della cultura, ma sbattersi come dei matti per non avere nessun tipo di gratificazione e di garanzia economica (ricordiamo che un ricercatore italiano non guadagna più di un migliaio di euro al mese) è veramente una delle grandi contraddizioni del nostro paese, in cui se sei laureato e hai una cultura hai meno garanzie e sei più povero di un operaio non specializzato a tempo indeterminato nelle nostre aziende.
Seconda cosa, come l'articolo appunto mette in chiaro un ricercatore è valutato solo e soltanto dalla quantità di pubblicazioni che ha ricevuto. Ora, a parte queste pubblicazioni internazionali, l'editoria italiana è uno scatafascio totale. Ricordo ancora le parole di una mia docente all'università che, afflitta dal dover sempre e solo distribuirci fotocopie scritte da lei in classe ci confessava "mi piacerebbe tanto pubblicare un bel manuale su questo argomento, ma mi hanno chiesto 5000 euro per poterlo fare, e sinceramente ragazzi né io né l'università ce lo possiamo permettere"... una Università degli Studi di Bari "Aldo Moro" che, ricordiamolo, ha un buco finanziario di 52 milioni di euro. Non per essere pessimista, ma come si acquista prestigio se non ci si può permettere neanche il sapone dei bagni dell'Ateneo?
In un paese già dominato da un regime di enormi disuguaglianze, in primis la disuguaglianza tra università del Nord e università del Sud, non sono questi ulteriori problemi che alimentano quella meccanica tutta italiana che "chi ha soldi può diventare qualcuno o qualcosa, chi non li ha non può fare altro che stringersi in una soffocante morsa mortale"? In una Italia in cui neanche fare un prestigioso tirocinio nelle ambasciate italiane all'estero per ben 4 mesi ti dà nemmeno un minimo di rimborso spese, in cui quindi solo chi ha già del denaro può investire nel proprio futuro e nell'arricchimento del proprio curriculum, in un paese in cui per accedere a un dottorato di ricerca la maggior parte del punteggio per le graduatorie viene dato alle pubblicazioni che si fanno, come si fa a diventare qualcuno se non si hanno dei fondi disponibili? Mi piacerebbe fare un dottorato, ma come ottengo una pubblicazione se l'università non mi aiuta, i professori non mi aiutano, lo Stato non mi aiuta?
E se davvero dovesse passare la brillante idea del nostro governo di considerare l'università di provenienza come criterio di selezione più importante dei meriti personali e del voto di uscita, come si risolvono queste disuguaglianze? Quale futuro c'è per le università più disastrate del paese? Si tenta di esportare un modello americano senza avere il benché minimo sistema per sostenerlo, ovvero grande valorizzazione degli studenti meritevoli con borse di studio che permettono loro di permettersi università che con i soli fondi familiari non riuscirebbero mai a sostenere, un sistema veramente basato su meritocrazia e distribuzione delle risorse in base a principi meritocratici. Finchè non si avrà questo in Italia l'importazione di sistemi statunitensi "impropri" al nostro sistema sarà solo un agente che strozzerà completamente il progresso del paese e porterà alla radicalizzazione dello status quo.
In un paese in cui l'editoria non fa pagare un libro, anche quelli non più coperti da copyright, meno di 10 euro (a differenza, per esempio, dei grandi classici Penguin nel Regno Unito, che non costano mai più di 3 euro), e dove anche i libri per Kindle e altri dispositivi, quindi opere prodotte a costo di produzione vicino allo zero, non costano meno di 6-7 euro, il problema del "Prezzo della conoscenza" è serio. In questo paese ancora di più che altrove la cultura è un lusso, i libri sono considerati beni di lusso e non pane quotidiano della mente umana, bene di primissima necessità. Fin quando ai nostri tecnocrati e burocrati non entrerà in mente questo, non entrerà in mente una idea di conoscenza libera e demonopolizzata, e che chi possiede conoscenza deve essere valorizzato, incentivato, PAGATO, invece di considerare la preparazione universitaria come un limite del giovane lavoratore, come un mezzo per poter sfruttare giovani con poca esperienza concreta con la scusa della "formazione" sottopagata, in questo paese non ci sarà mai e poi mai crescita. E se l'ho capito io, che ho 25 anni e di economia non ne capisco nulla, non riesco a capire perché non lo capiscono ai piani alti.
Pronto, ci siete?

mercoledì 11 aprile 2012

Bad Translator


L'agenzia di traduzioni Translator Services USA, una delle aziende più importanti del campo, cura un blog che è ormai diventato una delle mie letture preferite, oltre a curare un'altra miriade di progetti interessanti.

Il primo è Ackuna, un sito che si propone di essere una piattaforma di crowdsourcing per tradurre testi e brevi segmenti di testo in varie lingue, avvalendosi del libero contributo degli utenti e dei traduttori che, confrontandosi tra loro, possono giungere ad una soluzione ottimale. I traduttori stessi possono chiedere come si dicono determinate espressioni in lingue che essi non conoscono, e chi conosce una sola lingua può semplicemente revisionare i segmenti nella propria lingua e dare un feedback ai testi tradotti. Ovviamente lo scopo non è quello di far fare gratis dei lavori che normalmente farebbero traduttori a pagamento, ma di poter risolvere piccoli problemi per esempio della quotidianeità o soddisfare semplici curiosità (ad esempio, se volessi saper dire Ti Amo al mio ragazzo in 8 lingue diverse). Come dice appunto la descrizione del sito, "Akuna deve essere visto come un traduttore automatico implementato da esseri umani"  Il sito è ancora giovane e non particolarmente attivo però è potenzialmente una piattaforma interessante, soprattutto per confrontarsi con altri traduttori e imparare.


Il secondo progetto è ben più goliardico e ha lo scopo di scherzare un po' con la machine translation. Lo stesso blog dell'agenzia insiste molto spesso sulla cattiva qualità dei servizi di traduzione sparsi un po' per tutto il mondo, che spesso spacciano traduzioni automatiche per umane, e non si risparmia anche di fare "nomi e cognomi". Da questo sentimento di simpatica "compassione" per l'utilizzo delle traduzioni automatiche è nato Bad Translator, una pagina che permette, dato un testo inglese, di effettuare una serie di traduzioni automatiche (si può scegliere il traduttore automatico da utilizzare) in un numero di lingue random stabilito dall'utente fino a riottenere il testo in inglese, che risulterà ovviamente una ridicola storpiatura dell'originale.

Non posso evitare di riportare qui i risultati più divertenti ottenuti da me e i miei amici:

"Do you have any idea who God is?"
...8 translations later Bing gives us:
"you are the leader of God?"


"don't break my balls please"
...35 translations later Bing gives us:
"the child's sleep"


"When you play the Game of Thrones, you win or you die"
...35 translations later Bing gives us:
"The power of blood beat"


"all animals are equal but some animals are more equal than others"
...27 translations later, Bing gives us:
"Cleaning, all animals go to bar codes"



"It is a truth universally acknowledged, that a single man in possession of a good fortune must be in want of a wife."
...35 translations later, Bing gives us:
"Simple things. The men and the women, minority owner of success."



‎"It is a truth universally acknowledged, that a single man in possession of a good fortune must be in want of a wife."
...27 translations later, Bing gives us:
"Of course, the lady luck."



"April is the cruellest month"
...18 translations later, Bing gives us:
"In the month of April is treason."




Non esitate a mandarci le vostre!

martedì 10 aprile 2012

Leo Gullotta in Woody Allen

 E' uscito il trailer italiano di To Rome with Love di Woody Allen (religioso silenzio sul titolo osceno). Ero ansiosa di sentire le prime battute di Woody pronunciate non più dal solito Oreste Lionello (r.i.p) ma dal suo nuovo doppiatore il cui nome era già stato fatto tempo addietro: Leo Gullotta.

Devo dire che la voce di Gullotta è estremamente simile anche se, anche se sono solo poche frasi, mi sembra più flemmatica e un po' meno nevrotica.





E voi che ne pensate?
 

domenica 8 aprile 2012

The Best Exotic Marigold Hotel, meno best e meno exotic in italiano

Il titolo del post scherza chiaramente con il fatto che nell'adattamento italiano The Best Exotic Marigold Hotel sia diventato solo Marigold Hotel. Come se gli italiani fossero troppo stupidi per pronunciare ben 5 parole inglesi di fila. Ma non è l'unica omissione fatta in un adattamento in Italiano. Tralasciando recensioni, critiche o lodi al film in sé per sé, la mia esperienza da spettatrice nei confronti di The Best Exotic Marigold Hotel è avvenuta nella splendida cornice del Teatro Petruzzelli di Bari in occasione del Bari International Film & Tv Festival (http://www.bifest.it/), dove il film veniva presentato nella sezione "anteprime internazionali". Il film è stato ovviamente proposto in lingua originale, con sottotitoli in italiano. Mai come questa volta ho ringraziato me stessa di aver imparato l'inglese. I sottotitoli in italiano inseriti nel film (su cui purtroppo non sono riuscita a trovare nessuna informazione in rete o nei vari pressbook) è stato un crogiuolo di imprecisioni, di cui purtroppo adesso non riesco a ricordare molti esempi. In altri casi le scelte traduttive si sono rivelate non necessariamente sbagliate ma proponevano un linguaggio "più esagerato" rispetto all'originale. In particolare mi ricordo di un monologo con voce fuori campo di uno dei personaggi che parlava di quanto l'India sia un posto affascinante e complicato e bisogna imparare a sopravvivere, con la parola sopravvivere usata come traduzione della ben più edulcorata espressione "cope with". Ma la cosa veramente grave che si riscontra nei sottotitoli italiani è la vera e propria censura di alcune battute a sfondo sessuale disseminate qui e lì nel film. Ne ricordo con precisione due:
Il primo è un passaggio in cui Sonny parla al telefono con la sua fidanzata di un possibile incontro notturno tra i due al Marigold Hotel. Sonny accenna che per l'ora stabilita lui starà probabilmente dormendo, e Sunaina, una tipica indiana occidentalizzata e moderna, gli risponde in inglese con qualcosa del tipo "potrei svegliarti in qualche modo speciale". La battuta è completamente assente nel sottotitolo italiano, che la trasforma in un "ti sveglio io".
Il secondo esempio è quello di uno scambio tra Evelyn e Sonny verso la fine del film, in cui l'anziana cerca di dare qualche consiglio al giovane entusiasta ma un po' scapestrato per recuperare il suo rapporto con Sunaina. Il problema fondamentale consiste nel fatto che l'inesperto Sonny non ha mai detto "ti amo" alla sua ragazza, convinto che lei si meriti molto più che qualche semplice parolina. Evelyn risponde dicendogli che (approssimativamente se la mia memoria non mi inganna) "Women need to be told it some times. It's a perfect aphrodisiac". Bene, anche in questo caso la seconda parte della frase è completamente omessa nel sottotitolo.
Ora, non so se questi sottotitoli sono quelli che si troveranno effettivamente nel dvd o erano stati raffazzonati per l'anteprima al festival, e purtroppo non ho neanche potuto vedere il film al cinema in italiano questa settimana per constatare come abbiano deciso di tradurre per il doppiaggio. Sicuramente però andrò fino in fondo a questa storia, anche se purtroppo non mi capita molto spesso di guardare dei film sia in lingua originale sia in italiano, specie se non si tratta di capolavori assoluti che meritano una seconda visione.
Ad ogni modo gradirei davvero capire il perché di certe scelte, che vengono quasi sicuramente non dal traduttore ma dai produttori come al solito. Quello che mi rattrista è che più vedo queste brutture traduttive e editoriali/produttive italiane che si stanno pericolosamente moltiplicando negli ultimi anni, più mi stanno facendo passare la voglia di acquistare qualsivoglia prodotto adattato per l'Italia. Non mi piace dover fruire prodotti d'arte con la costante preoccupazione e il costante dubbio lancinante che il prodotto possa essere stato alterato in qualche modo dalle folli scelte di persone che antepongono assurde priorità personali (fattori morali, religiosi, economici, politici, di immagine o gusti personali o altro) alla integrità dell'opera d'arte.
Il grosso problema è che la traduzione oggi in Italia sta diventando un pericolosissimo filtro nelle mani dei potenti. Sappiamo tutti, ad esempio, degli abomini che hanno demolito Colpo di Fulmine  (http://it.wikipedia.org/wiki/Colpo_di_fulmine_-_Il_mago_della_truffa), che oltre a subire un consistente "alleggerimento" delle scene dell'amore tra persone dello stesso sesso nella distribuzione internazionale, ha anche appioppato a Jim Carrey un ruolo più comico e strampalato rispetto all'originale.
La paura che la traduzione stia diventando un medium di cristallizzazione e preservazione dello status quo è uno dei più grandi problemi del mercato dell'arte nel nostro paese. E forse non è un caso che proprio la lingua (e dunque la cultura) italiana abbia potuto coniare quella incredibili espressione allitterante conosciuta in tutto il mondo.

Traduttore traditore.

venerdì 6 aprile 2012

Spazi urbani, spazi della lingua

 Come le manifestazioni vitali sono intimamente
connesse con il vivente, pur senza significare niente per lui, così la traduzione procede
dall’originale, non dalla sua vita ma dalla sua “sopravvivenza”
(Walter Benjamin. Il compito del traduttore)


Kublai Khan e Marco Polo: i due personaggi che dialogano nelle Città Invisibili di Italo Calvino. Un modello importante per innumerevoli motivi.
Primo: una perfetta prosa poetica nella lingua italiana, esempio notevole di un nuovo modo di scrivere nella mia lingua, abbandonando ogni eloquenza e pesante manierismo barocco, aderendo completamente a quei valori di Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità e Molteplicità che menzionava nelle sue Lezioni Americane, e che hanno permesso davvero a Calvino di essere uno scrittore  internazionale. Si tratta di una lezione di modernità che io, in quanto potenziale futura traduttrice, spero di tenere in serbo.
Secondo: Kublai Khan e Marco Polo sono un modello dialogico interessante: conversano di città fantastiche, l'uno è sempre fermo nello stesso luogo e costruisce città con l'immaginazione, l'altro viaggiando riscontra l'esistenza di quelle stesse città immaginate. Altre volte l'immaginazione crea città che esisteranno nel futuro, altre volte ancora rimescolando tutte le variabili possibili di queste città immaginate si ottengono i profili di città esistenti. Gli spazi e le forme si intrecciano come si intreccia il dialogo tra Kublai Khan e Marco Polo, che inizia con un quasi silenzio tra i due, limitandosi a comunicare a gesti e finisce con dialoghi che però sembrano avere meno potenza di quella telepatia iniziale, e che tende a rivelare più brutture che meraviglie.
Terzo: le città stesse, le grandi protagoniste del libro, sono simboli di tutte le città esistenti. Sono luoghi inventati ma veri quanto quelli esistenti. Luoghi di conflitto, spagni segnici, luoghi di desideri appagati o frustrati, che puntano a qualcosa oppure a niente, luoghi che si proiettano in quello che sarà o che cercano ossessivamente di preservarsi, luoghi sottili e quasi invisibili o luoghi che si espandono e permeano tutto, luoghi del vizio, dello spreco e della mortificazione. Luoghi negativi. Nelle ultime righe del libro:
L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se cen'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Cosa c'entrano le città invisibili di Calvino con una linguista e traduttrice? Ebbene, mi sembra che i luoghi e le dinamiche del concetto di città invisibili siano anche metafora dei funzionamenti delle lingue e delle culture. In questo Oriente senza fine (e Goethe riteneva anche che l'Oriente fosse la patria dell'Ursprache, la lingua primordiale, cosa che poi si è rivelata nemmeno del tutto sbagliata), un Oriente in cui si mescolano immaginato o reale (e qui Said può avere qualcosa da dirci), potenza e atto, il tema che domina è quello dello spazio. Lo spazio urbano è luogo di creazione e di sforzo interpretativo. E cosa sono le lingue e le culture umane se non spazi di babelica molteplicità, che creano e urgono d'essere interpretate. Luoghi di conflitto o di dialogo, luoghi in cui come nei racconti di Marco Polo non è l'intricatezza del discorso verbale ad aver forza ma la efficacia e la potenza del segno, del gesto. Cosa sono le lingue se non luoghi in cui ciò che si può immaginare si può realizzare, proprio come nelle fantasticazioni del Gran Khan. Cosa sono le lingue se non spazi molto diversi tra loro, ma in qualche modo uguali fra loro. Spazi che possono intrecciarsi, conflittualmente o dialogicamente.
Le lingue sono spesso spazi scomodi e negativi, ci chiudono all'altro, delimitano confini. Il plurilinguismo è scomodo a molti. E il plurilinguismo è anche di un fenomeno intralinguale. Se così non fosse allora non ci dovrebbero essere incomprensioni, fraintendimenti o ambiguità interpretative tra quelli che parlano la stessa lingua. Specialmente chi sta al potere desidererebbe volentieri una neolingua di Orwelliana memoria, totalizzante e incontrovertibile, perchè il dialogo e la comunicazione nel terzo millennio sono un caos e un inferno senza fine, sono una dimensione dominata dall'incomprensibilità e dal decentramento. Le lingue sono scomode e sono un luogo di conflitto. E come in Calvino, solo due sono i modi per uscirne: accettare l'inferno e sprofondare nella incomunicabilità, fino a non vedere più il problema. Oppure riconoscere quelle intercapedini tra lingua e lingua, cultura e cultura come spazi di apertura piuttosto che come rotture negative del sistema chiuso, come aperture che sfondano le barriere, vedere ciò che in queste intercapedini non è l'inferno, farlo durare e dargli spazio. E' una operazione rischiosa e richiede attenzione e apprendimento continuo: e questo è quello che un traduttore fa.