mercoledì 6 giugno 2012

Il "letto amplesso" dell'IKEA

TRANSLATION FAIL, TRANSLATION WIN

 

Proprio oggi è comparsa una curiosa notizia sul Corriere della Sera che racconta delle vicissitudini e dei perigli dell'azienda svedese di mobili IKEA alle prese con l'espansione del suo mercato in Thailandia. A quanto pare la ditta ha dovuto rivedere alcuni nomi, rigorosamente in lingue scandinave, dei suoi mobili per evitare imbarazzanti doppi sensi derivanti dalla traslitterazione in lingua thai. E così accade che il vasetto per piantine Jättebra potrebbe suonare a un thailandese come "pianta sesso", oppure il comodo letto Redalen, combinazione un matrimoniale a 2 piazze, potrebbe essere tradotto in thailandese come "letto amplesso". E così da 4 anni una equipe dedicata si impegna a passare in rassegna tutti i nomi traslitterati in thailandese e a cambiare nomi che potrebbero costituire imbarazzanti malintesi. Ma siamo proprio sicuri che il "letto amplesso" non possa riscuotere un enorme successo tra le coppie thailandesi in crisi? A me è già venuta un po' voglia di provarlo.

Tralasciando le facili ironie, meno accorti dell'IKEA, dove si lavora intensamente contro i doppi sensi, sono di certo i responsabili del settore della Kraft, i quali cambiando il nome della divisione globale riservata agli snack della grande azienda statunitense con "Mondelez International", non hanno tenuto conto di un piccolo particolare: la parola Mondelez suona terribilmente come "sesso orale", e non in una lingua di qualche sperduto staterello di mille anime, ma nella quinta lingua più parlata nel mondo: il russo. Ottima scelta per un brand che ha come suo primo obiettivo quello della diffusione su scala globale, vero?

I casi di cui sopra non sono gli unici ma sono esemplari del fatto che esportare il proprio prodotto all'estero è sempre una operazione complessa e variegata. In questo delicato processo il successo dipende anche, e spesso soprattutto, dalla qualità della traduzione e dell'adattamento semiotico-culturale delle descrizioni, del materiale informativo e pubblicitario, dei nomi.
Ma non solo: una esportazione di successo non può prescindere anche da altri livelli di "traduzione", che possono comprendere persino la modifica del prodotto stesso, per meglio adattarlo alle esigenze e alle aspettative della cultura target.


Questa singolare forma di "localizzazione" è esemplificata paradossalmente dalla stessa tristemente nota Kraft, nel caso dei biscotti Oreo. Constatando le vendite non incoraggianti nei paesi asiatici, a seguito di una indagine di mercato la Kraft si rese conto che il loro prodotto risultava essere "troppo dolce", troppo zuccherato per il palato dei consumatori orientali, decisamente più abituati a gusti più agrodolci e fruttati. Fu così che si prese la decisione efficace di introdurre altre tipologie di cookies esclusivamente per il mercato asiatico, tra le quali figurano ad esempio varietà al mango e al tè verde.


Altro caso interessante e, se vogliamo speculare ai precedenti, è quello del Kit Kat in Giappone. La barretta di cioccolato della Nestlè è uno dei pochissimi snack dolci occidentali ad avere davvero conquistato il mercato giapponese diventando uno dei leader del settore nel paese del Sol Levante. I motivi di questo successo sono variegati, e tutti hanno sicuramente a che fare con oculate scelte "traduttive" ma anche con una certa dose di "fortuna traduttiva".
La barretta Kit Kat infatti deve il suo successo a una felice coincidenza, diametralmente opposta alla sorte capitata ai mobili IKEA e alla Mondelez. "Kit Kat" suona alle orecchie di un giapponese molto simile alla espressione "Kitto Katzu", ovvero "vittoria sicura" o "riuscita sicura". Dal proprio canto, la Nestlè non si è fatta certo scappare la succulenta opportunità commerciale che poteva derivare da questa lieta combinazione. Tutti gli appassionati di anime e manga sapranno bene quanto gli studenti giapponesi si preoccupino dei loro risultati scolastici e siano spesso sottoposti a una non indifferente dose di pressione sociale e familiare ad ottenere successo negli studi. Ed ecco che prontamente la Nestlè produce e immette sul mercato, in concomitanza con i test periodici previsti dal sistema scolastico giapponese, delle barrette apposite per gli studenti, ad esempio con messaggi incoraggianti marchiati sul cioccolato rivolti a coloro che sperano ansiosamente di passare gli esami. Insomma, la barretta che ti porta fortuna e ti augura una "vittoria sicura".

Ma l'astuzia della azienda non finisce di certo lì. Come per gli Oreo, le varietà di Kit Kat disponibili esclusivamente per il mercato giapponese sono tantissime (molte più di quelle disponibili in occidente, questo dovuto ovviamente al suo incontrastato successo nipponico che incoraggia l'azienda a produrre di più per quello specifico mercato) e talvolta anche curiose, come le barrette alla soia, al wasabi e all'anguria.
Inoltre, per compiacere un pubblico giapponese sempre attento alle novità, alla ampiezza della scelta e alle differenziazioni regionali, le barrette di cioccolato Kit Kat vengono vendute in diverse varietà a seconda della zona o prefettura, della stagione dell'anno o del periodo, ad esempio in occasione di determinate festività.

Per conoscere alcune delle più di 200 varietà disponibili rimando ad un post nel blog Questo piccolo grande banzai, dove potrete scoprire anche la regione in cui determinate variazioni possono essere acquistate. Sicuramente da provare quando si "fa un break" in Giappone!
 

 Una chicca retro per concludere, ve la ricordate? Nel mio immaginario il Kit Kat è principalmente associato a questo spot.