lunedì 18 maggio 2015

Sono andata al Salone del Libro e ho un'opinione a riguardo

Si è appena conclusa per me l'obbligatoria tappa, quasi una iniziazione visto che è la mia prima volta, al Salone del Libro di Torino. Imperdibile per me, visto che il paese ospite d'onore è la Germania. Sono appena tornata a casa, dopo una doccia rigenerante e con il portafogli svuotato. Svanita l'eccitazione adrenalinica che segue normalmente all'acquisto compulsivo di cose piacevoli, mi resta a mente fredda una sola parola chiave per descrivere la mia esperienza a quello che è il più importante evento editoriale in Italia: frustrazione. E vi spiego il perché.


E' un week end di maggio, a Torino ci sono trenta gradi da settimane. Quasi ogni week end li passiamo ormai al lago o in montagna, lontani dall'afa della città. Ma questo week end no, si va alla fiera del libro! Ma non sarà un vero peccato, sprecare una giornata di sole per andarsi a chiudere in quella immensa tristezza che è il Lingotto Fiere? Domande che ci assillano da settimane, me e la mia amica Alice, fedele compagna del tempo libero. Da così tante settimane che alla fine ci riduciamo a decidere il venerdì. Ok, dai, non si può non andare, andiamo. Inizio a guardare il programma online e scopro che è di una fruibilità pessima: troppi, davvero troppi eventi, mille nomi di sale e spazi conferenza e la sensazione che non ci puoi star dietro. E' troppo tardi per iscriversi ai numerosi workshop, alcuni di traduzione che mi sarebbero molto piaciuti. Gli eventi proposti un giorno, diciamo il giovedì, non sono ripetuti nel fine settimana, quindi o sei un fancazzista che non lavora di giovedì o quell'autore te lo sei perso. Pazienza, sabato e domenica ci sono decisamente cose di alto livello. E qui la seconda sorpresa: il biglietto di ingresso è valido per solo un giorno. Se vuoi entrare sia il sabato sia la domenica insomma, dovrai pagare due ingressi. Vabbè. Andiamo la domenica, perchè ci sono tre eventi interessanti: una speech su delle traduzioni di Musil, Zygmut Bauman e Travaglio.

All'ingresso sborsiamo i primi 9 euro della giornata (lo sconto per possessori di Abbonamento Musei Piemonte è di ben 1 euro). Perché mai mi facciano pagare un ingresso per entrare a una mostra-mercato, un mistero. Devo pagare per spendere, un abominio contro cui mi batto da anni. Io ho tutto sommato un potere d'acquisto che me lo permette, ma penso ad un ragazzino di 15 anni con 10 euro in tasca, che avrebbe potuto entrare gratis e uscire con un libro da 10 euro. Arricchito nell'anima. E invece no, quei 10 euro li deve pagare per entrare (o meglio non li pagherà e non entrerà).

Prima della mostra-mercato, l'interesse primario sono gli incontri. Una mezz'oretta solo per raccattare mappa, programma cartaceo e trovare le indicazioni per le sale degli incontri importanti. Arriviamo alla sala dell'incontro con Bauman, c'è coda, tanta coda. Dopo 10 minuti una simpatica signorina ci informa che “lasciate ogni speranza”, la sala è piena e non faranno entrare più nessuno. Era l'incontro per cui i 9 euro di biglietto, per me, avevano un senso. Ma c'è troppa gente. “Se volete abbiamo degli schermi qui accanto per seguire la conferenza dall'esterno”. Mi avvicino, poco più di 30 pollici di schermo e 50 persone intorno, senza sedie. Non si vede e non si sente nulla. “Se volete farvi firmare una copia abbiamo lo stand qui fuori quando finisce la conferenza”. Io e la mia bella copia di Amore Liquido lasciamo perdere, lo stand è al sole e pieno di gente. Pazienza, Bauman arriva l'estate e lo trovi a qualsiasi evento italiano fino alla sagra della zampina di Sammichele. Dal manuale: come scroccare vacanze in Italia se sei un intellettuale.

Buttiamoci nella mostra-mercato. Tre signore e signori tre padiglioni enormi, centinaia di espositori. Mi gira la testa dopo 10 minuti. Si chiama information overload e di solito mi colpisce dopo qualche ora in un museo. E c'è così tanta roba desiderabile che penso che a quel punto è meglio non comprare nulla. Ma è bugia, già lo so.

Presto i padiglioni si mostrano deludenti: gli stand più grossi li hanno i grandi editori: Feltrinelli, Mondadori, Giunti, Rizzoli, Einaudi, che hanno allestito all'interno della fiera veri e propri NEGOZI, sembrano delle enormi filiali dei loro punti vendita in città. Se voglio un libro Feltrinelli, forse è meglio che vada a comprarlo alla Feltrinelli in una mattinata tranquilla! Ma qui c'è l'inghippo: tutti gli espositori hanno offerte allucinanti tipo sconti al 50% o 3x2. Ok, eccezionale, ma mi sembra comunque una cretinata passare la mia domenica in una Feltrinelli dentro una fiera al chiuso a sgomitare con le persone. Passo oltre.

Nel padiglione 2 c'è un enorme stand del Goethe Institut. Finalmente qualcosa di realmente degno! Hanno scaffalate ricche di volumi, tutti di autori tedeschi, in tedesco, di editori tedeschi, fumetti, romanzi, poesia, saggistica. Sono in paradiso. Trovo un volume, si chiama Tanz der Tarantel di Kirsten Wulf, è un giallo tedesco (i cosiddetti Krimi) ambientato in Puglia... non posso non comprarlo! Lo afferro e mi dirigo vittoriosa e trionfante allo sportello dello stand, poggio il libro. Una tipa mi guarda interrogativa “serve qualcosa?” “ehm, sì, vorrei comprare questo...” “ah ma guardi che i libri in questo stand non sono in vendita, solo di esposizione”



Cioè mi state dicendo che avete centinaia di volumi introvabili in Italia solo per farmi rosicare? O ancora peggio, per farmi fotografare il codice a barre e andarlo ad acquistare dal nemico giurato delle fiere del libro di tutto il mondo, Amazon? “Se vuole può provare allo stand della Luxembourg qui accanto”. Vado. Lo stand più piccolo e disordinato della storia. Il peggiore della giornata. Ovviamente dei centinaia di volumi spettacolari esibiti a puro scopo espositivo del Goethe, nessuno era presente alla Luxembourg in vendita.

Proseguo, incazzata come una iena. Alice ci abbandona alla volta della conferenza su Musil. Al ritorno ci racconta un po' delusa che per quanto la speech sia stata interessante, i professori sono tutti scappati via con le loro valige una volta finito di parlare, senza dare la possibilità di fare domande.

Nel frattempo mi aggiro ormai in uno stato comatoso tra le bancarelle, tra caldo e folla (neanche esagerata, forse a causa del tempo estivo). Ho finalmente trovato uno stand che mi attira: è quello di MagicPress con Feudalesimo e Libertà e la loro prima pubblicazione, l'Inferno di Dante. Ci sono persino loro a fare firma, dedica e gogna a chi acquista il libro. Bravi, simpatici e divertenti, si meritano i miei primi soldi.

E' quasi l'ora di Travaglio, avviciniamoci alla sala Gialla. La folla, che per Bauman era di poche decine di persone in eccedenza, questa volta si estende per almeno 100 metri. Ci allontaniamo prima ancora di formulare anche solo un pensiero favorevole al tentativo di mettersi in attesa. Ennesimo evento degno di nota inaccessibile per l'inadeguatezza della struttura.


In un'altra saletta, sperduta tra le bancarelle, si presenta il libro su Morgan. Un cartello a caratteri cubitali si scusa della assenza del cantante alla presentazione. Passiamo oltre.

Gli stand di editori per l'infanzia hanno di sicuro le proposte più carine, tra cui splendidi libri di fiabe popolari d'Italia illustrati. Se avessi un nipotino, si meriterebbero i miei soldi.

Splendida conferma anche gli editori di fumetti, che invitano autori per le dediche sui volumi, si scambiano chiacchiere, sorrisi e complimenti. Si fanno ottimi sconti.

Sulle sedioline per Gramellini e Pupi Avati (che non si sono meritati una speech in una sala chiusa ma in mezzo al caos della mostra-mercato) c'è tanta di quella gente che si dovrebbe ascoltare la speech in piedi, ma con tutta quella confusione e sistemi di amplificazione non proprio eccelsi, fuori dal raggio delle postazioni a sedere si sente poco. Oltre al fatto che, dopo ore di cammino tra i padiglioni, se il mio span di attenzione da seduta è già pessimo, da in piedi è livello pesce rosso. Andiamo avanti.

Lo stand del Cicap, l'organizzazione scientifica di Piero Angela, ha esaurito le copie del loro libro sulla Torino misteriosa, e si sbatte un sacco quindi a promuovere i loro splendidi tour della Torino magica (che propone attenzione anche una spiegazione scientifica alla cosa, non come quei faziosi gomblottisti della concorrenza!).

Ci aggiriamo tra i piccoli editori indipendenti, dove trovo l'approccio migliore a questa fiera. Alcuni stand propongono pochissimi libri, ma dietro il bancone una persona che li ha letti e che conosce bene il movimento artistico e ti spiega tutto, per filo e per segno. Si meritano i nostri soldi.

Alcuni stand sono così eleganti e seriosi che ti senti in imbarazzo. Per fortuna un giovane in giacca e cravatta della Treccani ci invita a toccare questi preziosissimi volumi, perché “i libri sono fatti per essere toccati”. Una signora gli risponde che quei libri sembrano così preziosi da sembrare intoccabili e ha ragione, non solo dal punto di vista tattile. Altri stand sono così noiosi da sembrare ridicoli (la polizia? La banca d'Italia?)

Io e Alice ci avviciniamo con gridolini di eccitazione allo stand dell'Istituto Italiano di Studi Germanici. Il ragazzo dietro il bancone ci accoglie col calore di chi vede per la prima volta qualcuno avvicinarsi con tale entusiasmo. Hanno delle belle idee, tra cui quello di rendere tutto disponibile online gratis. E sì, si meritano i nostri soldi. E evidentemente per loro è un evento così raro che ci regalano mezzo stand in gadget, e ci allontaniamo esibendo orgogliose la shopper "griffata". Roba da germanisti.

A questo punto capisco che tentare di vedere tutti gli stand mi procurerebbe solo un pesante mal di testa e gambe gonfie come zampogne a fine serata. Sono esausta. Cerco sulla mappa lo stand della Tunuè, una casa editrice che conosco da tempo e adoro. Senza pensarci troppo chiacchiero, mi faccio consigliare e spendo. Compro un volume a fumetti su Sostiene Pereira. Il ragazzo al banco mi fa “ma non riesci a passare domani? Domani mattina viene l'autore per autografare i volumi....”.

Mi piacerebbe, caro amico, ma questo sistema mi imporrebbe di pagare nuovamente il biglietto d'ingresso. Ennesima occasione sprecata della mia spedizione. Ennesima frustrazione e amaro in bocca.

Devo parlare di cosa mi è davvero piaciuto? Lo stand della Puglia: programma fittissimo e interessante e una esposizione di gran gusto e livello, esteticamente impeccabile. Il padiglione sopraelevato del turismo Piemonte, dove oltre ad aver trovato le uniche sedute libere dell'intera fiera, facevano assaggiare gratis la MoleCola, la Coca Cola alternativa di Torino (per chi qui ci vive non una grande novità, per gli estranei una vera attrazione). Lo stand di IBS.it, con pochi libri e molti Tolino. Un sacco di bei ragazzi negli stand.

L'episodio-emblema della mia opinione su questo Salone riguarda dei ragazzi della mia età che, volantini alla mano, cercavano a tutti i costi di sponsorizzare una scuola di tecniche di apprendimento e lettura veloce sostenendo che fosse possibile imparare perfettamente il tedesco in due mesi. Ho ripensato a quel punto ai miei 13 anni di studio matto e disperatissimo, ai numerosi soggiorni all'estero e tuttavia a quella socratica sensazione di non sapere ancora nulla, e la mia risposta è stata "ti ringrazio, ma io sono a favore di una lettura lenta e faticosissima".

Insomma, la parola chiave del Salone del Libro è frustrazione perché tra le folle, le code, gli eventi inaccessibili e il caldo infernale hai la sensazione di essere entrato e di esserti perso, e di aver perso tutto ciò che c'era di veramente bello. E forse di esserti anche perso la bellissima giornata fuori. Perché qui conta il consumo. La cultura è merce, non più un bene. Che sommata a una focaccia e una birra in fiera per sopravvivere a questa giornata fanno 70 euro, andandoci leggeri.