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martedì 19 marzo 2013

Tributo a San Patrizio

Dopo una lunga assenza dovuta a sconvolgimenti radicali della mia esistenza, eccomi qui a parlarvi, pochi giorni dopo il 17 Marzo, della festa di San Patrizio, santo patrono dell'Irlanda nonché festa nazionale molto sentita presso il popolo irlandese sia in patria che in tutto il mondo, data la grande percentuale di irlandesi emigrati in altre nazioni (si parla infatti di una vera e propria Diaspora irlandese).
Questo fattore, unito al grande successo che la cultura irlandese sta acquisendo su scala internazionale, ha fatto sì che negli ultimi anni anche il paesino più piccolo della Culonia abbia il suo irish pub con eventi in programma per la festa di San Patrizio.

Tradizione di questa festa è quella di fare delle parate o feste in piazza vestiti e pittati di verde (colore caro all'Irlanda, chiamata anche Emerald Island per la sua natura verde smeraldo) o travestiti da Leprechaun, una sorta di gnomo barbuto vestito di verde con un vistoso cappello: si tratta di un personaggio tipico del folklore e del mito celtico. Sono soliti essere raffigurati nell'atto di aggiustarsi una scarpa (una delle origini del nome, si ipotizza, è proprio leith - metà e bróg- scarpone) o con un pentolone pieno di monete d'oro.

Una curiosità su questa figura è il fatto che, sebbene l'iconografia moderna sia piuttosto fissa, pare che in precedenza questo folletto abbia avuto più iconografie differenti dipendentemente da quale zona dell'Irlanda la produceva. Pare addirittura che in alcune aree dell'isola il Leprechaun portasse vestiti rossi.

La prima parata in Irlanda per la festa di San Patrizio risale al 1931, dopo che, nel 1903, un emendamento legislativo aveva ufficializzato la festa. Oggi, la parata si è trasformata in un vero e proprio festival culturale e di promozione della cultura irlandese nel mondo (quindi con balli, canti e arte della tradizione), dura circa 3-4 giorni ed è più o meno così:


Per la festa di San Patrizio, persino la birra, tanto amata dagli irlandesi, si "traveste" di verde. Per riprodurla in casa, basta aggiungere 3-4 gocce di colorante alimentare alla vostra pinta di lager!



Il verde è non solo il colore dell'Irlanda, ma soprattutto il colore del Saint Patrick's Day, poiché la figura di questo santo è particolarmente legata a un aneddoto: pare che San Patrizio, missionario che ha convertito i celti al cattolicesimo, abbia utilizzato proprio un trifoglio (Shamrock), così abbondanti sul suolo irlandese, per spiegare alle popolazioni locali il complicato e contraddittorio concetto della Trinità. Il trifoglio, come Dio, sarebbe infatti uno e trino. Oggi, lo Shamrock è un vero e proprio simbolo nazionale.


Sapete tutti che l'inglese è la prima lingua parlata in Irlanda, dopo una lunga storia di colonizzazione da parte degli inglesi. La lingua antica e tradizionale di questo popolo è però l'irlandese o gaelico. Nonostante quasi nessuno parli questa lingua, dopo l'indipendenza irlandese il governo ha fatto molto per promuovere, diffondere e conservare la conoscenza di questa lingua: oggi infatti si insegna regolarmente nelle scuole in modo obbligatorio, e tutti gli atti ufficiali dello stato e segnaletica stradale sono obbligatoriamente bilingue.
A proposito di questa interessantissima lingua, è apparso recentemente un articolo su TheWeek.com riguardante otto curiosità che non sapevi sulla lingua irlandese. Riporto gli otto punti tradotti e riassunti qui sotto:

1. Il nome della lingua è "irlandese" e non "gaelico"
"Gaelic" è il nome della lingua in irlandese, "Irish" è il nome corretto di questa lingua in inglese. [Irlandese è il suo nome corretto in italiano n.d.t.]

2. Non esistono le parole "sì" e "no"
La risposta affermativa o negativa si esprimono solo con la negazione del verbo. In pratica, alla domanda "hanno venduto la casa", un irlandese può rispondere "l'hanno venduta" o "non l'hanno venduta". In irlandese:


Ar dhíol sian an teach?
Dhíol.
Níor dhíol.


3. L'ordine sintattico è VERBO-SOGGETTO-OGGETTO
Quindi, "noi facciamo i compiti" sarebbe in irlandese "facciamo noi i compiti". Solo il 9% delle lingue nel mondo possiede una costruzione sintattica così singolare.

4. Le parole usate per esprimere i numeri sono diverse a seconda si parli di essere umani o non.
La lingua irlandese possiede, a livello linguistico, tre sistemi di numeri: uno è quello per parlare dei numeri come entità astratte, quindi per fare operazioni di matematica e cose così. Un secondo per contare esseri umani, un altro ancora per contare altri esseri o cose inanimate.
In pratica la parola "tre" nel sintagma "tre ragazze" sarà diversa da quella usata nel sintagma "tre cavalli".


5. L'inizio di una parola dipende dal contesto verbale in cui si trova.
La stessa parola, in pratica, subirà alcune variazioni nelle prime lettere in base alla condizione di trovarsi preceduta da un pronome, da un numerale o da una preposizione e così via. Generalmente, i sostantivi delle lingue subiscono variazioni nella desinenza e praticamente mai all'inizio. L'irlandese richiede entrambi i tipi di variazione. Che gran casino!

6. Ma, almeno, ha solo 11 verbi irregolari.
L'inglese ne ha più di 80, l'italiano ne ha diverse centinaia (vi prometto che faccio una ricerca precisa su quanti). A confronto, l'irlandese sembra davvero facile nelle sue coniugazioni!

7. Ha lasciato una forte impronta nell'inglese parlato in Irlanda.
Molte espressioni e modi di dire in inglese usati in Irlanda non esistono nel resto dello U.K. Molte costruzioni sintattiche sono appunto un calco preciso dall'irlandese, ad esempio:
"I'm after eating my breakfast " (I just ate my breakfast)
"I gave out about the terrible service" (I complained/told them off about the terrible service)


8. E' possibile (ma non facile) riuscire a fare un viaggio in tutta l'Irlanda parlando solo in irlandese.
Il regista irlandese Manchàn Magan ha realizzato questa opera in forma di documentario (che si chiama No Béarla - No English), in cui viaggia per tutto il Paese tentando di comunicare con i locali solo attraverso l'irlandese. Tra i tanti rifiuti e l'indifferenza, però, riesce a trovare sempre qualcuno disposto a parlare con lui e aiutarlo. Trovate il documentario qui.



A questo punto io però mi chiedo un'altra cosa, e cioè, sarà mai possibile fare un giro d'Irlanda parlando solo inglese? Anche con contadino più sperduto dell'interland? Qualcuno ha mai provato? :)


Chiudo postandovi due video di due canzoni italiane che parlano d'Irlanda. La prima è di Fiorella Mannoia, e si chiama "Il cielo d'Irlanda":

La seconda è dei Modena City Ramblers, dal titolo "In un giorno di pioggia". Ricordo quanto ho pianto su questa canzone al ritorno dal mio primo viaggio in Irlanda...

martedì 10 luglio 2012

Uranus

I doppi sensi, si sa, sono uno dei modi di giocare con la lingua più divertenti e popolari del mondo, in tutte le lingue. Voluti o non, questi scherzi riescono a strappare sempre un sorriso a chiunque proprio per la capacità di giocare sulla polisemia oppure sull'omonimia/omografia delle parole per sovrapporre un senso "serio" e reale a un altro indotto, generalmente ridicolo, provocatorio, o a sfondo sessuale, da cui scaturisce l'ilarità. In questo campo i titoli di giornale sono particolarmente esperti, da un lato perché i giornalisti ricercano appositamente il doppio senso per attirare lo sguardo e quindi l'attenzione dei lettori, dall'altro perchè l'estrema condensazione di senso tipica dei titoli unita con l'estrema sintesi che questa forma espressiva richiede possono portare più facilmente a disguidi dovuti alla sovrapposizione di significati; per esempio la rimozione delle preposizioni per questioni di brevità porta il lettore a dover immaginare la preposizione mancante, cosa che accende la creatività del lettore a ritrovare altri tipi di relazioni tra le cose diversi da quelli che lo scrittore sperava di provocare, generando così il doppio senso.

Di doppi sensi a metà strada tra storia e leggenda apparsi sui giornali nazionali o locali ce ne sono tantissimi. Scovarne la reale origine o attestarne l'autenticità è diventato, nonostante o proprio a causa dell'era di internet, pressoché impossibile. Tralasciando l'oltremodo celebre e noto immagino a tutti i lettori

 POMPINI A RAFFICA CARRARESE K.O.

 ve ne propongo altri, sempre a metà strada tra mito e realtà, più o meno noti. Ricordo che alcuni giravano anche tra i diari scolastici ai tempi della mia scuola media...

TROMBA MARINA PER UN QUARTO D’ORA

 PEDOFILIA: PENE FINO A 12 ANNI

IN CINQUECENTO CONTRO UN ALBERO, TUTTI MORTI

SI E’ SPENTO L’UOMO CHE SI E’ DATO FUOCO

FALEGNAME IMPAZZITO TIRA UNA SEGA AD UN PASSANTE

MILANO, TROVATO MORTO UN CINESE: E' GIALLO

Oltre a questi grandi classici nostrani, mi è capitato proprio ultimamente di documentarmi sullo stesso argomento in riferimento al giornalismo di lingua inglese, giungendo a risultati molto simili: doppi sensi soprattutto su morte o comunque sottilmente sadici, giochi di parole e pun di chiaro stampo umoristico, altri assolutamente non voluti. E sempre questa tendenza a oscillare in bilico tra bufala e verità. Tra i tantissimi titoli che ho trovato vorrei fare una classifica dei miei preferiti, eventualmente con una breve spiegazione (non è possibile optare per una traduzione nella maggior parte dei casi a meno che non voglia stare a preparare questo articolo per le prossime 2 settimane alla ricerca di traduzioni d'effetto). Ovviamente gli esperti anglofoni possono saltare le mie annotazioni senza alcuna pietà.



1. TYPHOON RIPS THROUGH CEMETERY. HUNDREDS DEAD

Questa non ha bisogno di commenti...





2. KICKING BABY CONSIDERED TO BE HEALTHY 

In questo caso mi sono serviti più secondi per capire il significato intenzionale di quello non voluto: qui il gioco è tra l'idea del bambino che scalcia nella pancia della madre e l'azione di prendere un bambino a calci. Quale delle due cose sia effettivamente più salutare lo lascio decidere ai genitori.





3.CHILD’S STOOL GREAT FOR USE IN GARDEN

Ok, ho scoperto di avere una predilezione per l'umorismo sui bambini: qui l'ambiguità è sulla parola "stool", che può significare "sgabello" oppure "feci".




4. THERE IS A RING OF DEBRIS AROUND URANUS

Questa piacerà a molti. L'equivoco nasce dalla spaventosa assonanza di Uranus con "Your anus"...





 

5. QUEEN MARY HAVING BOTTOM SCRAPED

Queen Mary è una nave, non un membro della famiglia reale! Grattare il suo "bottom" non è nulla di scandaloso.


6. REAGAN WINS ON BUDGET, BUT MORE LIES AHEAD

Tutti in politica mentono.... ma quel "lies" non voleva significare quello, bensì la terza persona del verbo "giacere".


 7. RED TAPE HOLDS UP NEW BRIDGE

Questa, devo ammetterlo, sono andata a cercarla sul dizionario... "Red tape" è un sinonimo di "burocrazia". Quindi laddove in realtà la "burocrazia frena la costruzione del ponte", quello che ci sembra di capire è che "del nastro adesivo rosso mantiene il nuovo ponte". Preferisco prendere il traghetto.





8.  ASTRONAUT TAKES BLAME FOR GAS IN SPACECRAFT

Non si può non ridere...



 

9. PANDA MATING FAILS – VETERINARIAN TAKES OVER

Il veterinario sembra "intervenire" in un modo un po' ambiguo nell'accoppiamento dei panda...





 

10. MINERS REFUSE TO WORK AFTER DEATH

I minatori ovviamente non rifiutano di lavorare dopo la "propria" morte, ma dopo la morte di un loro collega. Tipico caso in cui eliminare aggettivi, preposizioni e articoli può combinare grossi pasticci!



11. MAN STRUCK BY LIGHTNING FACES BATTERY CHARGE

In effetti dopo essere stati colpiti da un fulmine magari è possibile fornire elettricità in grado di caricare una batteria (non voglio sapere dove attacchereste la spina). Ma in questo caso "battery charge" significa "accusa di aggressione". Impossibile non cogliere il doppio senso prima del significato reale...



12. NEW STUDY ON OBESITY LOOKS FOR LARGER TEST GROUP

L'ambiguità sta in "larger" che in inglese non vuol dire solo "più grande" ma anche fisicamente "più grasso".

mercoledì 6 giugno 2012

Il "letto amplesso" dell'IKEA

TRANSLATION FAIL, TRANSLATION WIN

 

Proprio oggi è comparsa una curiosa notizia sul Corriere della Sera che racconta delle vicissitudini e dei perigli dell'azienda svedese di mobili IKEA alle prese con l'espansione del suo mercato in Thailandia. A quanto pare la ditta ha dovuto rivedere alcuni nomi, rigorosamente in lingue scandinave, dei suoi mobili per evitare imbarazzanti doppi sensi derivanti dalla traslitterazione in lingua thai. E così accade che il vasetto per piantine Jättebra potrebbe suonare a un thailandese come "pianta sesso", oppure il comodo letto Redalen, combinazione un matrimoniale a 2 piazze, potrebbe essere tradotto in thailandese come "letto amplesso". E così da 4 anni una equipe dedicata si impegna a passare in rassegna tutti i nomi traslitterati in thailandese e a cambiare nomi che potrebbero costituire imbarazzanti malintesi. Ma siamo proprio sicuri che il "letto amplesso" non possa riscuotere un enorme successo tra le coppie thailandesi in crisi? A me è già venuta un po' voglia di provarlo.

Tralasciando le facili ironie, meno accorti dell'IKEA, dove si lavora intensamente contro i doppi sensi, sono di certo i responsabili del settore della Kraft, i quali cambiando il nome della divisione globale riservata agli snack della grande azienda statunitense con "Mondelez International", non hanno tenuto conto di un piccolo particolare: la parola Mondelez suona terribilmente come "sesso orale", e non in una lingua di qualche sperduto staterello di mille anime, ma nella quinta lingua più parlata nel mondo: il russo. Ottima scelta per un brand che ha come suo primo obiettivo quello della diffusione su scala globale, vero?

I casi di cui sopra non sono gli unici ma sono esemplari del fatto che esportare il proprio prodotto all'estero è sempre una operazione complessa e variegata. In questo delicato processo il successo dipende anche, e spesso soprattutto, dalla qualità della traduzione e dell'adattamento semiotico-culturale delle descrizioni, del materiale informativo e pubblicitario, dei nomi.
Ma non solo: una esportazione di successo non può prescindere anche da altri livelli di "traduzione", che possono comprendere persino la modifica del prodotto stesso, per meglio adattarlo alle esigenze e alle aspettative della cultura target.


Questa singolare forma di "localizzazione" è esemplificata paradossalmente dalla stessa tristemente nota Kraft, nel caso dei biscotti Oreo. Constatando le vendite non incoraggianti nei paesi asiatici, a seguito di una indagine di mercato la Kraft si rese conto che il loro prodotto risultava essere "troppo dolce", troppo zuccherato per il palato dei consumatori orientali, decisamente più abituati a gusti più agrodolci e fruttati. Fu così che si prese la decisione efficace di introdurre altre tipologie di cookies esclusivamente per il mercato asiatico, tra le quali figurano ad esempio varietà al mango e al tè verde.


Altro caso interessante e, se vogliamo speculare ai precedenti, è quello del Kit Kat in Giappone. La barretta di cioccolato della Nestlè è uno dei pochissimi snack dolci occidentali ad avere davvero conquistato il mercato giapponese diventando uno dei leader del settore nel paese del Sol Levante. I motivi di questo successo sono variegati, e tutti hanno sicuramente a che fare con oculate scelte "traduttive" ma anche con una certa dose di "fortuna traduttiva".
La barretta Kit Kat infatti deve il suo successo a una felice coincidenza, diametralmente opposta alla sorte capitata ai mobili IKEA e alla Mondelez. "Kit Kat" suona alle orecchie di un giapponese molto simile alla espressione "Kitto Katzu", ovvero "vittoria sicura" o "riuscita sicura". Dal proprio canto, la Nestlè non si è fatta certo scappare la succulenta opportunità commerciale che poteva derivare da questa lieta combinazione. Tutti gli appassionati di anime e manga sapranno bene quanto gli studenti giapponesi si preoccupino dei loro risultati scolastici e siano spesso sottoposti a una non indifferente dose di pressione sociale e familiare ad ottenere successo negli studi. Ed ecco che prontamente la Nestlè produce e immette sul mercato, in concomitanza con i test periodici previsti dal sistema scolastico giapponese, delle barrette apposite per gli studenti, ad esempio con messaggi incoraggianti marchiati sul cioccolato rivolti a coloro che sperano ansiosamente di passare gli esami. Insomma, la barretta che ti porta fortuna e ti augura una "vittoria sicura".

Ma l'astuzia della azienda non finisce di certo lì. Come per gli Oreo, le varietà di Kit Kat disponibili esclusivamente per il mercato giapponese sono tantissime (molte più di quelle disponibili in occidente, questo dovuto ovviamente al suo incontrastato successo nipponico che incoraggia l'azienda a produrre di più per quello specifico mercato) e talvolta anche curiose, come le barrette alla soia, al wasabi e all'anguria.
Inoltre, per compiacere un pubblico giapponese sempre attento alle novità, alla ampiezza della scelta e alle differenziazioni regionali, le barrette di cioccolato Kit Kat vengono vendute in diverse varietà a seconda della zona o prefettura, della stagione dell'anno o del periodo, ad esempio in occasione di determinate festività.

Per conoscere alcune delle più di 200 varietà disponibili rimando ad un post nel blog Questo piccolo grande banzai, dove potrete scoprire anche la regione in cui determinate variazioni possono essere acquistate. Sicuramente da provare quando si "fa un break" in Giappone!
 

 Una chicca retro per concludere, ve la ricordate? Nel mio immaginario il Kit Kat è principalmente associato a questo spot.



venerdì 6 aprile 2012

Spazi urbani, spazi della lingua

 Come le manifestazioni vitali sono intimamente
connesse con il vivente, pur senza significare niente per lui, così la traduzione procede
dall’originale, non dalla sua vita ma dalla sua “sopravvivenza”
(Walter Benjamin. Il compito del traduttore)


Kublai Khan e Marco Polo: i due personaggi che dialogano nelle Città Invisibili di Italo Calvino. Un modello importante per innumerevoli motivi.
Primo: una perfetta prosa poetica nella lingua italiana, esempio notevole di un nuovo modo di scrivere nella mia lingua, abbandonando ogni eloquenza e pesante manierismo barocco, aderendo completamente a quei valori di Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità e Molteplicità che menzionava nelle sue Lezioni Americane, e che hanno permesso davvero a Calvino di essere uno scrittore  internazionale. Si tratta di una lezione di modernità che io, in quanto potenziale futura traduttrice, spero di tenere in serbo.
Secondo: Kublai Khan e Marco Polo sono un modello dialogico interessante: conversano di città fantastiche, l'uno è sempre fermo nello stesso luogo e costruisce città con l'immaginazione, l'altro viaggiando riscontra l'esistenza di quelle stesse città immaginate. Altre volte l'immaginazione crea città che esisteranno nel futuro, altre volte ancora rimescolando tutte le variabili possibili di queste città immaginate si ottengono i profili di città esistenti. Gli spazi e le forme si intrecciano come si intreccia il dialogo tra Kublai Khan e Marco Polo, che inizia con un quasi silenzio tra i due, limitandosi a comunicare a gesti e finisce con dialoghi che però sembrano avere meno potenza di quella telepatia iniziale, e che tende a rivelare più brutture che meraviglie.
Terzo: le città stesse, le grandi protagoniste del libro, sono simboli di tutte le città esistenti. Sono luoghi inventati ma veri quanto quelli esistenti. Luoghi di conflitto, spagni segnici, luoghi di desideri appagati o frustrati, che puntano a qualcosa oppure a niente, luoghi che si proiettano in quello che sarà o che cercano ossessivamente di preservarsi, luoghi sottili e quasi invisibili o luoghi che si espandono e permeano tutto, luoghi del vizio, dello spreco e della mortificazione. Luoghi negativi. Nelle ultime righe del libro:
L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se cen'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Cosa c'entrano le città invisibili di Calvino con una linguista e traduttrice? Ebbene, mi sembra che i luoghi e le dinamiche del concetto di città invisibili siano anche metafora dei funzionamenti delle lingue e delle culture. In questo Oriente senza fine (e Goethe riteneva anche che l'Oriente fosse la patria dell'Ursprache, la lingua primordiale, cosa che poi si è rivelata nemmeno del tutto sbagliata), un Oriente in cui si mescolano immaginato o reale (e qui Said può avere qualcosa da dirci), potenza e atto, il tema che domina è quello dello spazio. Lo spazio urbano è luogo di creazione e di sforzo interpretativo. E cosa sono le lingue e le culture umane se non spazi di babelica molteplicità, che creano e urgono d'essere interpretate. Luoghi di conflitto o di dialogo, luoghi in cui come nei racconti di Marco Polo non è l'intricatezza del discorso verbale ad aver forza ma la efficacia e la potenza del segno, del gesto. Cosa sono le lingue se non luoghi in cui ciò che si può immaginare si può realizzare, proprio come nelle fantasticazioni del Gran Khan. Cosa sono le lingue se non spazi molto diversi tra loro, ma in qualche modo uguali fra loro. Spazi che possono intrecciarsi, conflittualmente o dialogicamente.
Le lingue sono spesso spazi scomodi e negativi, ci chiudono all'altro, delimitano confini. Il plurilinguismo è scomodo a molti. E il plurilinguismo è anche di un fenomeno intralinguale. Se così non fosse allora non ci dovrebbero essere incomprensioni, fraintendimenti o ambiguità interpretative tra quelli che parlano la stessa lingua. Specialmente chi sta al potere desidererebbe volentieri una neolingua di Orwelliana memoria, totalizzante e incontrovertibile, perchè il dialogo e la comunicazione nel terzo millennio sono un caos e un inferno senza fine, sono una dimensione dominata dall'incomprensibilità e dal decentramento. Le lingue sono scomode e sono un luogo di conflitto. E come in Calvino, solo due sono i modi per uscirne: accettare l'inferno e sprofondare nella incomunicabilità, fino a non vedere più il problema. Oppure riconoscere quelle intercapedini tra lingua e lingua, cultura e cultura come spazi di apertura piuttosto che come rotture negative del sistema chiuso, come aperture che sfondano le barriere, vedere ciò che in queste intercapedini non è l'inferno, farlo durare e dargli spazio. E' una operazione rischiosa e richiede attenzione e apprendimento continuo: e questo è quello che un traduttore fa.