martedì 10 maggio 2016

Colonie italiane in cerca di traduzione

A pochissime settimane dal mio trasferimento a Torino ho avuto la grande fortuna di conoscere Claudio Canal, giornalista, scrittore, ricercatore indipendente, regista e molto altro. In una delle varie occasioni, come spesso avviene con Claudio, in cui lui si mette a disposizione per condividere un po' della sua conoscenza con gli altri attraverso iniziative ed incontri, mi è capitato di fare una scoperta tanto serendipica quanto sconvolgententemente scontata: il colonialismo italiano esiste (e questo per fortuna ce lo hanno seppur in modo scarno raccontato i nostri libri di storia a scuola) e perciò esiste una letteratura coloniale ma soprattutto anti-coloniale. Il perché nessuno dei nostri libri di letteratura ce ne abbiano mai parlato... lo lascio a chi legge, che sarà abbastanza intelligente da capirlo da solo senza dover ricorrere a chissà quali teorie complottiste.
Colonie italiane in Africa

Quello che più mi ha colpito di questa storia è come dopo tanti anni e addirittura due belle tesi di laurea in studi culturali e postcoloniali inglesi, non mi sia mai minimamente posta la domanda dell'esistenza di qualcosa di simile riguardo il mio paese e il "mio" passato. A dimostrazione di quanto una censura fatta bene possa rendere anche una persona ben cosciente di queste problematiche completamente dimentica, ignara e noncurante (permettetemi il climax ridondante, e pure la rima).

La prima sensazione che ho provato è stata pura rabbia: ho dimenticato di pensare perché qualcuno non mi ha messo in condizione di farlo. Capiamoci bene, qui non parliamo di poetucoli, ma del primo romanzo della storia della letteratura eritrea e uno dei primi romanzi scritti in Africa. E io tutto quello che ricordo del colonialismo italiano dei miei giorni di scuola è sentire una prof molto stupida liquidare la faccenda con un "l'Italia ha colonizzato terre povere e desertiche in cui non c'è niente". Che questo niente fosse pieno di uomini e donne represse come in tutti i colonialismi, semplicemente non contava, perché l'Africa è deserto in tutti i sensi, quella tabula rasa, di cui parla molto bene Ania Loomba nel manuale Colonialism/Postcolonialism, su cui l'Europa può inscrivere le proprie istanze culturali e non solo. E' un concetto che nell'Italia hegeliana e crociana attecchisce così tanto da poter banalizzare tutto questo ancora negli anni 2000 con un "lì non c'era niente". E boom, cervello spento per sempre a milioni di studenti.

L'occasione di scrivere in questo blog viene dal fatto che Claudio stesso ne ha scritto nel suo (qui il suo post). Si tratta di un articolo inedito presentato a un paio di giornali che guardacaso hanno ben poco apprezzato. In particolar modo l'articolo parla di quello che si può considerare una delle opere più importanti della letteratura anticoloniale italiana, un romanzo eritreo del 1927 scritto in lingua tigrina da Gebreyesus Hailu dal titolo Una Storia - Hade Zanta.

La cosa curiosa è che mentre il romanzo è non solo inedito ma oserei dire sconosciuto in Italia, lo stesso sia tradotto in inglese da Ghirmai Negash, un professore di studi postcoloniali africani dell'università dell'Ohio, con il titolo The Conscript. Il volume è facilmente acquistabile per Kindle su Amazon non solo con pochi clic ma anche per pochissimi spiccioli. Il fatto che una università americana abbia più interesse a questo romanzo dell'intero sistema culturale e accademico italiano fa sorridere i più ottimisti e parecchio incazzare tutti gli altri.

Del libro non aggiungo altro, l'articolo di Claudio Canal ne descrive già perfettamente il senso e anche il senso di questa drammatica censura nel nostro paese.

L'ultima rifessione che mi sento di fare è, come di consueto su questo blog, relazionata al potere divulgativo o censorio che la traduzione può avere nell'accesso a informazioni alternative a quelle che le istituzioni formative ci propongono. Salman Rushdie scriveva in The Satanic Verses un "versetto" molto evocativo a riguardo del potere che il colonizzatore ha sul linguaggio:
 "They have the power of description, and we succumb to the pictures they construct"
Lo riprendo pensando che qui non è tanto la descrizione del colonizzatore a far soccombere le voci subalterne, bensì è l'assenza di una traduzione in italiano dei testi di letteratura anticoloniale a rendere una narrazione completamente inaccessibile allo stesso popolo che si è reso protagonista di quell'atroce parte di storia. In questo caso, noi non abbiamo utilizzato il nostro potere della descrizione ma sfruttato il non-tradurre come arma di repressione di un punto di vista contrapposto alla storia ufficiale.
Letteratura secondaria interessante
Ora, considerando anche quanto, al contrario di noi, letterature come quella inglese si facciano addirittura vanto della letteratura postcoloniale scritta nella propria lingua e non, mi chiedo: come possiamo fare noi, nel nostro piccolo, a divulgare una percezione della storia italiana che ancora oggi in pochi hanno il coraggio di fare emergere, ma soprattutto, fare apprezzare una letteratura bellissima e che parla di noi non sempre come gli "italiani brava gente"? Claudio Canal ha riportato sul suo blog un articolo rifiutato dai canali "ufficiali". Io scrivo un post su Claudio Canal. A mia volta so di avere tanti amici e amiche che in questo momento, con lacrime sudore e sangue, si stanno guadagnando un posto da insegnanti nelle scuole. A questi tanti vecchi compagni di università e non solo rivolgo questo appello: provate a condividere coi vostri studenti questo piccolo e intenso romanzo di Hailu, o la poesia di Rajab al-Manfi a proposito di un campo di concentramento in Libia, di cui Claudio parla anche nel suo articolo. Dato che il testo di Hailu si trova solo in tigrino o in inglese, leggerlo in inglese sarebbe anche una fantastica opportunità di CLIL (insegnamento veicolare dell'inglese) per la letteratura e la storia italiana.

E chissà, magari a qualcuno potrà finalmente saltare in mente di tradurlo in italiano, dal tigrino o anche in maniera ufficiosa dall'inglese, che sarà pure una pratica sbagliata ma se messa a servizio di una buona causa è una soluzione appoggiata anche dalle integraliste della traduzione come me.

Ovviamente lo farei io molto volentieri, se solo avessi il tempo, ma come vedete è già difficile per me riuscire a tenere un blog.


Link sparsi:


Il blog di Claudio Canal

Comprare il romanzo The Conscript

Una recensione su Academia.edu

Commenti sul sito della Ohio University Press

A place in the Sun, di Patrizia Palumbo, un buon riferimento per la letteratura coloniale Italiana, anche questo pubblicato da una università americana

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